Silvio Trotta canta Branduardi, un disco e un concerto con tanti amici musicisti

Giovedì sera in piazza Sant'Agostino per la rassegna EtnicArezzo. Diciotto successi del "menestrello". La passione per la musica della tradizione popolare

Silvio Trotta

Silvio Trotta

di SILVIA BARDI

Arezzo 25 luglio 2018 - Un teppista, un malandrino e un musicante. Il teppista è un poeta russo che scrisse le sue confessioni e a cui Angelo Branduardi si ispirò per scrivere le “Confessioni di un malandrino”e a cui Silvio Trotta si è ispirato per scrivere le “Confessioni di un musicante”. Una catena di eventi proprio come la canzone “Alla fiera dell’est”. Dall’ammirazione per la musica del menestrello italiano con il quale Trotta condivide la passione per la ricerca della tradizione musicale specialmente quella tramandata per via orale, scovata negli angoli più reconditi del paese, riproposta con i suoi antichi strumenti originali, l’artista aretino ha scritto un nuovo disco, le “Confessioni di un musicante. Silvio Trotta canta Branduardi” (Radicimusic record con gli acquerelli di Patrizia Sadocchi) che verrà presentato giovedì 26 luglio alle 22 in piazza Sant’Agostino a ingresso libero in una serata evento del cartellone di EtnicArezzo.

Naturalmente non da solo, perché la ricerca e la contaminazione non si fanno mai da soli e lo stuolo degli amici musicisti, ognuno dei quali porta le sue conoscenze e i suoi contributi, si allunga. Sul palco ci saranno i Malandrini del folk ovvero Massimo Giuntini il maestro degli aerofoni celtici, il pifferaio magico del folk Italiano Stefano Tartaglia, giovanissimo zampognaro Cristian Di Fiore, Alessandro Bruni alla chitarra e Michela Fracassi al violino, il batterista Andrea Nocentini e al basso Maurizio Bozzi affiancati per la serata (e nel disco) da Nando Citarella voce e tammorra, dalla voce di Claudia Bombardella, da Paola Pasquini e Carmelo Giallombardo alle viole, da Cesare Guasconi alla ghironda e forse, dal chitarrista Giorgio Albiani che condivide con Trotta un posto d’onore nel gruppo dei Viulan.

“Occupandomi di musica popolare mi è sempre piaciuto il lavoro di Branduardi, sin da ragazzo ascoltavo e suonavo i suoi brani, ho continuato a seguirlo nelle sue scelte di contaminare il folk con l’elettronica, l’etnica con il pop, è stati tra i primi a farlo, quando era ancora un azzardo per il mercato discografico, ha pescato sempre nella tradizione, ha fatto sentire per primo il suono delle launeddas sarde, ha cantato testi di Faletti come nell’album ‘Il dito e la luna’ e le poesie di Saffo, ha messo in musica i vangeli apocrifi e san Francesco”. Un viaggio in diciotto canzoni che vanno dagli anni Settanta ai Novanta, dal Ballo in fa diesis minore al Dono del cervo, dalla Pulce d’acqua a Sotto il tiglio, dal Sultano di Babilonia a Cogli la prima mela, dall’Uomo di neve fino Alla fiera dell’est “quelle che mi sono rimaste nel cuore in tutti questi anni, capolavori che lo stesso Branduardi continua a proporre nei suoi concerti” spiega Trotta che come Branduardi non ha mai smesso di salvare dall’oblio del tempo le canzoni, le melodie, le ninna nanne che le nonne si tramandavano a voce di generazione in generazione.

“Ho una vera passione per il mondo antico - fa sapere Trotta - per cinque anni ho fatto ricerche sul campo in Molise con un registratore Geloso a fare cantare le vecchie signore dei paesi, i canti della campagna che rischiavano di perdere, ma non sono pezzi da museo perché quando in quei posti ci sono tornato per fare concerti quelle canzoni le conoscevano tutti si stupivano che fossero diventati un disco. E’ tutto nella nostra memoria arcaica, quasi nel dna. Con i Viulan siamo arrivati secondi al festival mondiale dell’Unesco a Samarcanda con 35 paesi in gara abbiamo proposto le ninna nanne raccolte nell’Appennino modenese con un vecchio registratore Geloso. Quella musica che crea alchimia, che accomuna, che comunica oltre le lingue. “Quando andiamo ai festival internazionali basta che uno cominci a suonare uno strumento che in pochissimo tempo tutti si aggregano in una straordinaria orchestra improvvisata, lo spagnolo che suona con l’indiano, il tamburello con l’organetto e la tabula. Ricordo l’esperienza commovente del carcere di San benedetto ad Arezzo dove invitati dal direttore Basco portammo la musica degli zampognari e finimmo tutti in lacrime. Ci sono strumenti che vanno dritti al cuore, muovono emozioni comuni, ci uniscono - continua Trotta - un valore che Branduardi ha capito e concretizzato, attingendo alle culture del mondo, studiandole, mescolandole, fatte proprie“. Un omaggio dunque “Volevo fermare il momento, salvarle come un patrimonio nazionale in un disco”.

Silvio Trotta è un tenace ricercatore delle tradizioni popolari. Raffinato polistrumentista, sin dai primi anni Settanta ha intrapreso un percorso di ricerca sul campo di musica tradizionale nel centro/sud d’Italia che ancora oggi continua. Fiori all'occhiello della sua carriera sono certamente i Musicanti del Piccolo Borgo e i Viulàn, gruppi storici del folk revival italiano attivi da oltre quarant’anni. Le collaborazioni con il grande cantastorie toscano Riccardo Marasco, con Jessica Lombardi e Claudia Bombardella gli hanno permesso inoltre di spaziare sia in ambiti musicali interculturali che nella musica antica sacra e profana. Dopo 45 anni di carriera sui palchi di tutta Europa Silvio Trotta propone al pubblico questo nuovo progetto sostanziato da vecchie passioni. Accompagnato dalla band Malandrini in folk rivisita il repertorio di Angelo Branduardi nel quale, da sempre, rintraccia e riconosce i suoi stessi grandi interessi: la musica popolare italiana, le sonorità nord europee, la musica antica e soprattutto la ricerca di quel “patrimonio immateriale” tramandato in ogni angolo del mondo. Il progetto nato nel 2013 si è arricchito cammin facendo del contributo di tanti amici musicisti provenienti da mondi musicali diversi e testimonia la sua capacità artistica nel saper amalgamare suoni, stili e ritmi ma anche la sua attitudine carismatica ad unire le persone in un’idea di musica corale assimilata certamente dal mondo della musica popolare di cui è protagonista da decenni. Ed è nelle acque originarie della musica di tradizione che immerge i diciotto brani scelti dall’infinito repertorio del Maestro Branduardi, li colora, grazie ai suoi Malandrini, con gli strumenti popolari, la zampogna, l’organetto, il piffero, i flauti irlandesi, la ghironda e li rilegge in chiave folk senza perderne la suggestione.