Arezzo, 8 agosto 2009 - In mezzo ai quadri seicenteschi e alle preziose specchiere stile Impero il Vate del Decadentismo italiano amoreggiava senza risparmio con una delle sue tante conquiste all’inizio del secolo scorso. A cento anni di distanza molti dei preziosi arredamenti di villa Mancini Barbolani di Montauto a Petrognano, nei pressi di Giovi, si erano volatilizzati, scomparsi nel giro di qualche mese senza segni di scasso.

Proprio quelli in mezzo ai quali soggiornava Gabriele D’Annunzio che arrivava in città con il treno per poi spostarsi nella dimora del conte Lorenzo Mancini, discendente della casata dei Barbolani di Montauto. Lì incontrava la moglie del nobiluomo Giuseppina Giorgi che lui aveva ribattezzato Giusini, o Amaranta.

A lei, l’Immaginifico dedicò anche alcuni versi struggenti: "Giusini è come una rosa bianca: una rosa bianca è come Giusini". Una dichiarazione d’amore contenuta nel "Solus ad solam", il diario che il Vate scrisse nei primi mesi dell’autunno del 1908, la cronaca della perdita della ragione della contessa che poi la riacquistò qualche anno dopo.
La villa di Petrognano appartiene ancora ad una discendente dell’amante dannunziana morta all’età di novanta anni nel 1961. Ampie sale con arredi di altissimo prestigio, tavolini, specchiere e quadri che sono improvvisamente diventati preda di ladri misteriosi che arraffavano a colpo sicuro, senza lasciare tracce.

 

Per questo l’erede aretina di Giusini, proprietaria della lussuosa villa, si era rivolta alla polizia nel maggio di quest’anno, elencando i pezzi di pregio mancanti che avevano iniziato a svanire nell’estate dell’anno precedente. La dimora, con una miriade di stanze, è spesso disabitata e quindi la donna ha tardato ad accorgersi che qualcosa non quadrava. Anzi si è insospettita solo quando ha visto un suo cassettone esposto in un negozio di antiquariato a Firenze.

Da lì sono iniziate le indagini che hanno visto collaborare la squadra mobile di Arezzo guidata dal vice questore Marco Dalpiaz con quella fiorentina. Dall’antiquario di Firenze si è arrivati ad un collega casentinese, denunciato con l’accusa di ricettazione. Un percorso all’indietro che ha condotto gli uomini della mobile ad individuare il trio che ha materialmente compiuto i furti in serie: il cassettone "galeotto", due specchiere di grande valore, una decina di quadri, mobili di pregio, tavolini e sedie antiche. Il tutto per un valore ancora da stimare ma dovrebbe aggirarsi sopra il mezzo milione di euro.

 

Il fatto che mancassero segni di scasso su porte e finestre della villa, non protetta da sistemi di allarme, ha circoscritto le indagini sul custode, un polacco di 40 anni. Messo alle strette, l’uomo ha confessato di aver compiuto i furti con la complicità di due amici, un romano e un napoletano residenti in provincia. Tutti e tre sono stati denunciati a piede libero per furto in concorso. Le indicazioni dei tre hanno permesso di recuperare anche gran parte della refurtiva esposta nelle vetrine di diversi antiquari aretini che allo stato attuale dell’inchiesta sembrano aver acquistato i pezzi in buona fede.

Quella che non ha invece avuto il custode polacco con i suoi complici che, per dirla con D’Annunzio, hanno voluto "osare l’inosabile". Ma la polizia li ha stanati nel giro di qualche mese. E poi villa Mancini, su consiglio della polizia, avrà un nuovo sistema di allarme: i malintenzionati sono avvertiti.