{{IMG_SX}}Arezzo, 22 maggio 2009 - Vince l’accusa 3-1, ma quello della difesa è un gol pesante, come si direbbe in gergo calcistico, perchè salva uno dei due marescialli della Guardia di Finanza sotto accusa per le mazzette che dovevano servire ad ammorbidire il fisco. Inchiesta anch’essa condotta dalle Fiamme Gialle, come a dire che si è fatto pulizia in casa. Finiscono condannati, invece, un altro dei marescialli e i due commercialisti valdarnesi sotto processo, ma attenzione, perchè anche in questo caso la sentenza è articolata. Mauro Moricca, dunque, uno dei professionisti , viene considerato responsabile sia della concussione ai danni di un imprenditore valdarnese che dell’estorsione di cui rimase vittima l’ereditiera Patrizia Lamborghini, dell’omonima dinastia dei motori, ora titolare di un’azienda agricola sul Trasimeno, 'La Fiorita' di Panicarola, provincia di Perugia.

 

Il collega Marco Monicolini, invece, si vede condannare solo per questo secondo episodio, ovvero la trappola a Patrizia Lamborghini. Assai varia, quindi, anche la distribuzione delle pene che sono un po’ scontate, come al supermercato, rispetto alle richieste del Pm (cinque anni e mezzo per i commercialisti, quattro per i marescialli). La razione più pesante tocca a Moricca: quattro anni, con tre di indulto. Il che significa che a sentenza definitiva il fiscalista dovrebbe scontarne uno, magari con l’affidamento in prova ai servizi sociali. Monicolini se la cava con tre anni e quattro mesi: il residuo da scontare è appunto di quattro mesi. Marco Catone, il maresciallo, si prende tre anni condonati ma con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Assolto il collega Aurelio Lombardi.

 

In sostanza, a volere usare ancora il gergo calcistico, il Pm Roberto Rossi (c’è sempre lui di mezzo nelle inchieste di corruzione) vince 2-0 la partita con la difesa (Antonino Giunta e Neri Pinucci) dei commercialisti e fa invece 1-1 con gli avvocati (Guido Dieci e Antonio Bonacci) dei marescialli. Nel complesso, comunque, l’ipotesi d’accusa resiste alla grande all’esame del tribunale collegiale (presidente Vincenzo Denaro, giudici Andrea Claudiani e Francesca Sbrana). La storia era di quelle brutte assai, per il verminaio di malcostume che portava allo scoperto. Personaggio chiave Cesare Turini, il pentito dell’inchiesta, l’imprenditore dei vini valdarnese che prima pagò una mazzetta da 15 mila euro per ammorbidire la verifica fiscale nella sua ditta (controllo del software aziendale compiuto appunto da Catone e Lombardi) e poi corse al Gico della Finanza di Firenze per denunciare tutto.

 

Era il 2005 e subito cominciarono le verifiche incrociate, che diedero conferma del racconto: uno dei due commercialisti, Mauro Moricca, aveva effettivamente avvicinato Turini e gli aveva suggerito che c’era un modo di trarsi di impaccio, ovvero pagare. Gli uomini del Gico allargarono poi il loro raggio d’azione, sentendo a tappeto gli altri clienti dello studio: non è che per caso vi è stato consigliato di pagare bustarelle? Rispose positivamente Patrizia Lamborghini, che ha confermato tutto in aula: mi è stato fatto capire che una tangente poteva condizionare il controllo fiscale. In realtà era millantato credito.

 

Nè Moricca nè Monicolini (che finirono anche agli arresti domiciliari) avevano contatti con le Fiamme Gialle di Perugia (in questo secondo episodio non c’entrano Catone e Lombardi). Il che non toglie che l’ereditiera abbia inviato allo studio di Montevarchi la sua segretaria con una busta da 10 mila euro. La camera di consiglio del tribunale è stata relativamente breve, meno di tre ore. Come a dire che i giudici si erano già fatti un’idea chiara del caso. Ora l’appello.