{{IMG_SX}}Arezzo, 12 giugno 2008 - Vent’anni di abusi, di violenze sessuali su bimbi e adolescenti di mezz’Italia finiti con una telefonata intercettata dagli inquirenti. Poi lo scandalo, uno dei peggiori che la Chiesa italiana, non solo aretina, abbia dovuto fronteggiare negli ultimi anni. Non capita tutti i giorni che un sacerdote decida di liberarsi la coscienza prima confessando il caso per il quale è finito agli arresti domiciliari e poi altri 37 episodi, tutte storie di molestie, più o meno gravi ma comunque sempre oltre la soglia della violenza sessuale, cominciati a metà degli anni ’80 e finiti solo nel luglio del 2005, l’11 per la precisione, quando Don Pierangelo Bertagna, abate di Farneta, viene portato fuori dalla canonica fra due carabinieri, a capo chino, mentre i parrocchiani lo guardano allibiti e increduli.

 


Stamani, quasi tre anni dopo, il processo. Nell’aula del Gip Simone Salcerini. Col rito abbreviato e lo sconto di pena, perchè nessuno ha interesse alla scomoda pubblicità di un dibattimento pubblico. Il parroco, ormai ex, rischia almeno cinque anni ma potrebbero essere anche di più. Tutto dipenderà dal bilanciamento che il giudice farà fra attenuanti generiche e le due aggravanti contestate dal Pm Ersilia Spena: l’aver agito in danno di minori di 14 anni e l’aver abusato di ragazzi che erano affidati alla sua custodia.

 

Comincia tutto nel triangolo delle parrocchie (Farneta, Monsiglio e Montecchio) amministrate da Don Pierangelo, barba lunga, figura ascetica, spirito tormentato fra spiritualità intensa e peccati della carne. Dorme in terra e mangia solo verdure per resistere alla tentazione, ma non basta. Non basta neppure con l’ultimo ragazzino vittima delle sue attenzioni. Stavolta però l’adolescente si confida con la mamma. E lei va dai carabinieri. Poi la telefonata della signora all’Abate per chiedere chiarimenti. Una telefonata registrata dai carabinieri, con tanto di decreto di intercettazione del magistrato. Don Pierangelo ammette tutto, quasi fosse una liberazione dal diavolo dell’impulso sessuale che lo scava dentro, chiede scusa. Il testo finisce sul tavolo del Pm Spena, che chiede e ottiene l’arresto dal Gip Gianni Fruganti.

 


La sera stessa dell’11 luglio il sacerdote viene portato ai domiciliari nell’eremo appenninico di Cerbaiolo, ma già la crisi di coscienza lo divora nell’animo. Ai suoi avvocati, Annelise Anania e Francesca Mafucci, non nasconde niente, sia pure a frasi smozzicate e angosciate. L’udienza di venerdì 15 dinanzi a Fruganti diventa una liberazione, una sorta di seduta psicoterapeuta nella quale Don Pierangelo ammettendo tutto in una confessione fluviale esorcizza i suoi fantasmi, le sue tentazioni irresistibili. 

 


E non è ancora finita. Perchè l’abate ha tanto altro da raccontare, vent’anni di sesso disordinato e scandaloso coi minori che vedevano in lui un punto di riferimento. Coi suoi legali le confidenze cominciano già ad agosto. Pezzo a pezzo, come una verità che fa fatica ad uscire dopo essere stata compressa troppo a lungo. A fine settembre le avvocatesse avanzano istanza per un nuovo interrogatorio del Pm. L’appuntamento è per i primi di ottobre nella stazione dei carabinieri di Pieve Santo Stefano. E stavolta la confessione è di quelle che fanno tremare le vene e i polsi: 38 casi violenza, un racconto che sembra non finire mai e che comincia da Novara, da quando Don Pierangelo era ancora un laico, sia pure già impegnato nella congregazione dei "Ricostruttori nella preghiera".

 

Molti degli episodi, però, sono già prescritti o non più verificabili. Nel setaccio di Ersilia Spena ne restano 16, tutti quelli dal ’96 in avanti, due fuori provincia, gli altri fra Arezzo e la Valdichiana. Si viene a sapere tra l’altro che i 'Ricostruttori' erano a conoscenza dei problemi di Don Pierangelo, anche lui vittima da ragazzo degli abusi di un parente, che almeno una famiglia aveva avvertito delle violenze subite dal figlio il fondatore Don Vittorio Cappelletto, che è anche il padre spirituale dell’abate. Ma nessuno ha sollevato il caso.

 


Il resto è la storia dell’anno che il sacerdote trascorre ai domiciliari tra 2005 e 2006, prima a Cerbaiolo e poi all’eremo delle Celle, il resto è il percorso concordato con la Chiesa attraverso il quale Don Pierangelo si spoglia della tonaca. Resta in Casentino come volontario in una comunità. Aiuta i più deboli ed è già un principio di espiazione, anche se l’espiazione deve passare adesso attraverso il processo e il carcere, nel quale l’abate dovrà scontare quanto gli resta della pena cui sarà condannato oggi.