Strage di Viareggio, il ricordo della notte di fuoco nel racconto di due sopravvissuti

La commozione di Cristiano Falorni che ha perso il fratello

La strage di Viareggio

La strage di Viareggio

Viareggio, 3 luglio 2014 - E’ ANDATO in scena il dolore ieri al processo per la strage di Viareggio. Il dolore acuto — che non si placa affatto a cinque anni di distanza — di chi ogni giorno tocca con mano la propria sofferenza e quella dei propri cari; o di chi, come Cristiano Falorni, è stato chiamato a parlare di suo fratello Andrea che non c’è più. Cristiano è stato vinto dalla commozione e per questo il giudice Gerardo Boragine, ben capendo la personale difficoltà del teste, ha preferito interrompere la deposizione proprio per non infliggergli ulteriori sofferenze. Troppo penoso infatti per Cristiano ricordare quei drammatici momenti. Avrebbe voluto spiegare quello che carte, certificati e perizie mediche non possono raccontare. Avrebbe voluto parlare — se l’emozione del momento non lo avesse tradito — di quella notte in cui, appena informato di quanto accaduto, si precipitò in via Ponchielli senza neppure riuscire a trovare la casa di suo fratello. Per la densa coltre di fumo che nascondeva tutto e per il fatto che quella casa non esisteva più. Avrebbe voluto raccontare la sofferenza fisica e psicologica sua e degli altri suoi fratelli (una bella e numerosa famiglia quella dei Falorni: 5 fratelli e 1 sorella) che, aiutati dai vigili del fuoco, dai poliziotti, dai volontari, scavarono incessantemente e senza pause «sasso per sasso fra le macerie» nelle due settimane successive al disastro sotto il sole di luglio, alla ricerca di un corpo che non venne mai trovato. Riemerse solo un «resto», che il Dna attribuì ad Andrea Falorni.

Prima di Cristiano Falorni c’è stata la deposizione dei coniugi Marco Germani e Isabella Baldi. I due abitavano il primo piano di una palazzina in via Ponchielli occupata al pian terreno dai genitori di lui. «Ci svegliò — ha detto Marco Germani — il bagliore del fuoco della casa che avevamo di fronte. Io e mia moglie scappammo dopo che si verificò una prima espolosione. Io ero scalzo e avevo solo gli slip. Per questo tornai su a vestirmi. Una volta in strada fui colpito da una nuova esplosione. Tornai in casa per mettermi sotto la doccia e rimasi alcuni minuti chiuso in bagno. Sono saltato dalla finestra, quando ho sentito i miei genitori che erano nel cortile che dava sulla ferrovia. Qui fummo portati in salvo dai vigili del fuoco che ci portarono al sicuro sull’Aurelia», dove riabbracciò la moglie. Insieme andarono al Pronto soccorso e il giorno dopo in elicottero venne trasferito all’ospedale milanese di Niguarda, dove rimase ricoverato per 17 giorni a causa delle ustioni di secondo grado riportate sul 45% del corpo. Addirittura più gravi le ferite della madre Laura Galli. La moglie Isabella Baldi (il matrimonio è avvenuto successivamente alla tragedia e fu per tutti un primo segnale di speranza e di rinascita) ha ricordato come, scappando subito, riuscì a mettersi in salvo. «Non so perché — ha detto — andai dalla parte della Pam, perché mi sembrava più libera dal fuoco». Il Pm le ha chiesto se c’era un muro di protezione dalla ferrovia. «No. C’era solo un muretto che arrivava sotto il ginocchio».