L'omicidio a colpi di casco: massacrato senza pietà, "Infieriva sul corpo"

La morte di Manuele Iacconi, che avvenne per futili motivi di viabilità

Una delle manifestazioni per ricordare Manuele Iacconi

Una delle manifestazioni per ricordare Manuele Iacconi

Viareggio, 27 novembre 2015 - Chi non conosce la storia di Manuele Iacconi e – per caso – avrà modo di leggere le motivazioni della sentenza di condanna del suo omicida, metta in preventivo di avere poi bisogno di un supporto psicologico. Perché? La ricostruzione del delitto – contenuta del dossier che chiude il processo di primo grado – è angosciosa. Choccante. Piena di passaggi da brivido. E su quella – al di là delle diverse versioni fornite dal giovane omicida, condannato a dodici anni con il rito abbreviato – il giudice per l’udienza preliminare ha costruito l’impalcatura accusatoria di fronte alla quale non poteva che uscire fuori una condanna per «omicidio volontario» e «non preterintenzionale» come invece ha cercato di dimostrare la difesa.

Un delitto – in quella maledetta notte di Halloween dello scorso anno – che non ha ancora chiuso il suo corso visto che anche nelle motivazioni della sentenza emergono (come è peraltro già più volte stato confermato nella fase istruttoria) anche le posizioni tutte da definire di un altro minorenne e di due maggiorenni a margine del dramma. Dunque, un delitto che parte con un «vaffa» e finisce con un giovane che colpisce ripetutamente «impugnando con le due mani un casco da scooter» Manuele Iacconi disteso per terra sull’asfalto di via Coppino.

E’ choccante per tutti – immaginiamo di più per i genitori e i fratelli della vittima – quello che scrivere il giudice Monica Gaggelli riprendendo una delle testimonianze di Silvia B. prese a verbale dalla polizia nelle ore immediatamente successive il delitto.

«Iniziavo a fermare la mia auto in corrispondenza – si legge nelle motvazioni del Tribunale dei minorenni di Firenze – dell’attraversamento pedonale di via Coppino e notavo Manuele Iacconi che correva verso la Darsena seguito da un ragazzo. Ero ancora all’interno dell’abitacolo della mia auto e potevo notare come il ragazzo che seguiva Iacconi lo raggiungesse e lo colpisse da tergo con qualcosa. O con la mano destra, che lo faceva rovinare esanime al suolo, sempre lungo il manto stradale dove si trovava già disteso Matteo Lasurdi, ad una distanza di pochi metri l’uno dall’altro. Notavo che l’aggressore si poneva in piedi a cavallo del corpo immobile di Manuele Iacconi e lo colpiva al capo con estrema violenza con un casco da motociclista tipo Jet di colore scuro impugnato con entrambe le mani. Mi precipitavo fuori dall’abitacolo e mi dirigevo verso l’aggressoree che comunque continuava a colpire con inuadita ferocia la testa di Manuele Iacconi e da una una distanza inferiore al metro gli urlavo di smettere. Ho visto chiaramente sia il ragazzo che aggrediva Matteo Lasurdi, che indossava un giubbotto di colore aranio rosso che quello che aggrediva la Iacconi che invece indossava un giaccone di colore blu scuro o nero». Insomma una vera e propria esecuzione in mezzo a via Coppino.

Eppure il minorenne nel corso del suo «percorso» fino al processo ha cercato progressivamente di aggiustare la sua versione, chiamando in causa anche i due maggiorenni. Ma per i giudici «la chiamata in correo nel delitto viene smentita dalla testimonianze raccolte nel corso della fase istruttoria» e «risentito in sede processuale, il ragazzino condannato ha manifestato incertezze ed esitazioni sulla questione del primo colpo inferto allo Iacconi. Ma si deve concludere rilevando come nessun riscontro le ultime dichiarazioni si trovano negli atti». Insomma i colpi di casco sulla testa di Iacconi esanime a terra sono solo del minorenne». Concludendo per i giudici – e lo spiegano senza alcunu dubbio o tentennamento – «è pienamente provata la responsabilità dell’imputato di avere provocato la morte di Manuele Iacconi a titolo di omicidio volontario».