Video hot: come difendersi dal web? Per Carloni 'non c’è quasi rimedio'

«Il problema di questo caso è che su Whatsapp ce lo ha messo lei»

Per l’avvocato Riccardo Carloni le chance di tutela di foto e video pubblicate dai diretti interessati hanno scarse chance di tutela

Per l’avvocato Riccardo Carloni le chance di tutela di foto e video pubblicate dai diretti interessati hanno scarse chance di tutela

Viareggio, 15 ottobre 2017 - IL DRAMMA del video della mamma finito per sbaglio nella chat di scuola anche ieri era argomento quasi inevitabile tra le persone. Per fortuna sul web sono apparsi anche commenti contro gli scellerati che hanno diffuso il filmato. Qualcuno se l’è presa con «La Nazione», rea di aver diffuso la notizia: cioè il fatto, la condivisione smaniosa del video come fenomeno collettivo, ma nessun dato che rendesse individuabile la donna e la sua famiglia. Ma sono gli stessi che non leggono i giornali, pontificano su Facebook, e magari in molti avevano sul cellulare, da giorni, il video in questione. Come fermare questa carneficina di condivisioni su Whatsapp? Perché una cosa è la condanna morale, altro la legge. Ecco il parere di Riccardo Carloni, avvocato penalista tra i più esperti: «E’ un dramma».

«IL MONDO web è complicatissimo – osserva l’avvocato – Ci sono già state pronunce in base alle quali, per far togliere qualcosa dalla rete, bisogna rivolgersi ai gestori dei server dei siti su cui si trovano certi materiali mediatici, foto o filmati. Ma con Whatsapp il problema è enorme, non vedo come bloccare una cosa del genere. Pensiamo a un qualsiasi individuo: gli arriva su Whatsapp questo video e lui come fa a sapere che chi lo ha messo non era d’accordo con la sua diffusione?».

CI SONO situazioni codificate dalla legge: «La convodisione dei video porno contenenti minori è un reato, è chiaro: la pedopornografia è reato, non si scappa. Anche per chi la condivide, ma questo è un altro caso. E non è complicato inquadrare solo l’aspetto tecnico, vedo difficile pure una soluzione giuridica: anche se uno ottiene dal giudice un provvedimento d’urgenza per bloccare il video, poi a chi lo fa notificare?». In altre parole: mentre migliaia di persone si scambiano il video della mamma, come le si possono individuare, raggiungere tutte, e notificare a tutte un’ordinanza del tribunale?

LA DISAVVENTURA di questa donna, che per ora solo pochi hanno difeso, gira attorno a una questione che, sul piano della tutela, crea un grosso problema. «La questione – riprende Carloni – è che è lei, la protagonista e proprietaria del video, che l’ha pubblicato su Whatsapp. E non ci ha scritto sotto “vietato diffondere”. Ci sono casi giuridici da prendere ad esempio per analogia: io dico a Tizio che il Tale è disonesto “ma non lo dire in giro”. Tizio lo dice ad altri, e alla fine è vero che l’ho detto. Inutile sparlare chiedendo di non dirlo. Comunque il web è un settore complicatissimo, difficile dire in certe condizioni se chi condivide il video commette reato. Perché per pubblicare foto di altri ci vuole un’autorizzazione, una liberatoria. Nel caso viareggino di cui molti parlano è lei che ha messo la foto su Whatsapp, benché in un gruppo. Ed è come chi mette le proprie foto su Facebook: mica si può arrabbiare se poi qualcuno le condivide. Come ho detto è un meccanismo infernale, a cui forse, però, potrebbero dare maggiori risposte degli specialisti più tecnologici di me».