Terremoto, "Io tra le macerie": il racconto di chi ha visto la morte negli occhi

Emergenza terremoto. Tutta la Versilia si mobilita: la lunga corsa dei nostri volontari

Terremoto ad Amatrice

Terremoto ad Amatrice

Viareggio, 26 agosto 2016 - Cadono uno a uno, come vittime di una guerra invisibile. I corpi senza vita, estratti dalle macerie del terremoto, con i centri storici ridotti in polvere, sono ferite al cuore dell’umanità. E’ la fotografia fornita da Egidio Pelagatti, vicesindaco del Comune di Stazzema e responsabile della Protezione civile Anpas Toscana, uno dei primi ad arrivare sul posto, ad Amatrice, inghiottita completamente dal sisma, con la colonna nazionale Anpas e la colonna mobile della Regione Toscana. Ha la voce spezzata dall’emozione nel parlare «del dolore che si legge negli occhi, della disperazione dei bambini, dello strazio delle mamme» che imperterrite scavano tra i cumuli di polvere. «Non ho mai visto niente del genere» racconta direttamente dal paese distrutto dove sta coordinando i lavori per l’allestimento di un campo di accoglienza. Eppure per Pelagatti non è la prima volta. Di tragedie ne ha viste tante. Dall’Irpinia, all’Aquila alle catastrofi che si sono abbattute sulla nostra regione. «Niente è paragonabile a quello che sto vedendo in queste ore. Quello che fa più male è guardare i giovani negli occhi: quegli sguardi sono l’incarnazione del dolore» prosegue. La materializzazione della tragedia, della catstrofe che non perdona e non guarda in faccia a nessuno. Senza distinzione di età e ceto, colpendo a caso, sparando sul mucchio e nel mucchio. «Alcuni non sono riusciti a uscire dalle proprie case – sottolinea – tante erano le pietre che erano cadute sopra. Tanti giovani sono per strada, quanti bambini.. Non ci sono parole, ogni lettera sarebbe superflua».

Egidio Pelagatti, con una trentina di versiliesi, volontari delle diverse associazioni presenti sul territorio, ha portato tutto il calore e l’abbraccio della nostra terra. E’ partito alle 4.30 di mercoledì per Firenze. Dalla città del Giglio, con la colonna mobile, dopo quattro ore di viaggio «e un percorso a ostacoli – le sue parole –, in alcuni tratti interrotto, pieno di deviazioni», ha raggiunto Amatrice. E lo scenario è stato una coltellata nello stomaco. Sotto gli occhi una città distrutta, centinaia di volontari che tentano il tutto per tutto e quell’amara presa di coscienza che non c’è più nulla da fare, che ogni tentativo è inutile. «Come quella della famiglia – dice Pelagatti – del bambino di nemmeno dieci anni, sepolto vivo. La nostra postazione è nei pressi dell’obitorio. Ne arrivano uno dopo l’altro, soprattutto nella giornata di giovedì. E’ surreale». Ma lì ad Amatrice c’è anche chi è salvo grazie all’enorme macchina dei soccorsi, grazie ai volontari che danno l’anima per alleviare il dolore. «Stiamo facendo il possibile, rimarremo qui fino a quando ci sarà bisogno. Non può morire questo paese», conclude.