Alluvione di Firenze 50 anni dopo, patini e aiuti da Viareggio

Il 4 novembre 1966 furono mobilitati anche i balneari

Oltre 25 i patini che prestarono soccorso a Firenze

Oltre 25 i patini che prestarono soccorso a Firenze

Viareggio, 26 ottobre 2016 - Era uscito da Riccetto, una cena di tordelli da smaltire con gli amici in cima al Molo. Pioveva, e soffiava forte il Libeccio. Fu in quel momento che Graziano Giannessi, ancora inconsapevole, si trovò di fronte gli effetti devastanti dell’alluvione di Firenze. In porto galleggiavano detriti di ogni tipo: scarpe, sedie, tronchi, cuscini e perfino sanitari trasportati in mare dalla corrente. «Per strada incontrammo Mario Colzi», era allora il presidente della Misericordia, «Ci annunciò che con i volontari stava attivando una raccolta di generi di prima necessità per la comunità di Campi Bisenzio, in un primo momento pensammo ad un’esondazione del Bisenzio». Tornato a casa Graziano lasciò un biglietto per suo padre, Oreste. «Mi svegliò la mattina presto chiedendomi quello che avevo saputo dal Colzi – prosegue –. La radio aveva iniziato a passare le prime notizie, a straripare era stato l’Arno». Sono passati 50 anni, era il 4 novembre del 1966: il tempo però non ha levigato i ricordi di Graziano. «Certe esperienze – dice – non si possono dimenticare; quando incroci la disperazione negli occhi della gente poi non la cancelli più». Fu proprio Oreste, la domenica, ad organizzare come presidente dei balneari la prima colonna di soccorsi; forte dell’esperienza dell’alluvione del Polesine. «Era domenica, vennero interrotte le proiezioni al cinema e il sindaco Antonio Catelli chiese il sostegno dei balneari e dei bagnini». Alle 16 si ritrovarono tutti alla cabine del bagno Nettuno: l’ordine era tirare fuori i ‘patini’ di salvataggio.

Alle 21 erano già tutti in riga davanti agli stabilimenti. Soltanto all’alba però partirono i soccorsi, due pullman di volontari e 7 camion di ‘patini’, 25 in tutto. I 70 viareggini si fermeranno a Poggio a Caiano, per una settimana. «Un terzo del Comune era asciutto, nel resto del paese l’acqua aveva raggiunto i secondi piani delle case». Non c’era più luce, gas, energia. Graziano posa lo sguardo sulle poche fotografie che custodisce di quei giorni, sulla manica della giacca aveva legato al braccio uno straccio con scritto Viareggio, ai piedi gli stivali di gomma, uno sguardo stanco ma lucido. Si intravedono poco distanti due giovani: Foffo Martinelli, e Sergio Vannucchi del bagno Oceano. «Appena arrivato – continua Giannessi – rimasi colpito dai ragazzi, erano i giovani insieme al sindaco ad aver allestito il piano di emergenza». Chiesero subito candele e fiammiferi, e latte per i bambini; che a bordo dei ‘patini’ i viareggini iniziarono a distribuire prima che calasse il sole orientandosi solo grazie agli alberi. «Ci invitarono per cena a mangiare in una mensa d’emergenza, per 6 giorni dividemmo il cibo e dormimmo sulle panche di legno buttate in un salone del Palazzo dei Medici». Poche ore per notte. Il resto della giornata i viareggini lo trascorrevano in coppia sui ‘patini’; «quello era l’unico mezzo cui con riuscivamo a muoverci anche negli spazi più stretti – racconta Graziano –. Ci avvicinavamo alle case, ci ancoravamo alle finestre e aiutavamo le famiglie a mettersi in salvo». Sono ancora le fotografie a far rieffiorare le emozioni di 50 anni fa: sul patino uno di fronte all’altro si incrocia lo sguardo serio dei soccorritori, che passeranno alle cronache come ‘Gli angeli di Viareggio’; con quello sgomento di chi attendeva da ore un miracolo. Intanto Viareggio continuava a fare la sua parte, offrendo generosamente ciò che poteva alla Misericordia che faceva da staffetta con Firenze. Il presidente del tribunale fiorentino, Mario Calamari, dalla nostra città, dove era in vacanza, fece un appello per i carcerati. «Che ancora – prosegue Giannessi – non avevano ricevuto alcun sostegno. Viareggio si mostrò nel suo profilo migliore; per quanto spocchiosa, ignorante e invidiosa la nostra città ha sempre avuto un istinto di solidarietà. Fui orgoglioso della mia Viareggio, e lo sono ancora oggi quando vedo un giovane con indosso la cannottiera rossa di ‘Salvataggio’. Un valore che si tramanda».