Viareggio, 20 aprile 2014 - «SEI sempre il nostro campione». Esce straziata dalla gola, ma risuona come una candida preghiera nella chiesa gremita di Montebello, la frase di papà Franco Iannaco dinanzi alla salma del figlio Manuel, morto giovedì scorso in un incidente stradale. Ventiquattro anni, troppo pochi per morire. Quei ventiquattro anni spesi da bravo ragazzo, sportivo e lavoratore e soprattutto figlio: la chiesa di San Carlo e Santa Margherita, silenziosa e piena di fiori bianchi con qualche girasole, ha rivolto il suo sguardo ed il suo altare a Manuel, stagliato là in quella foto da pugile su cui piange la madre Bianca Maria abbracciata all’altro figlio Vittorio.
 

IL SABATO santo di Camaiore si è stretto intorno a questa Pietà, simbolo di dolore incommensurabile. Non c’è stata una messa vera e propria, ma don Andrea Ramacciotti ha letto il Vangelo e pregato insieme agli altri, tanti giovani, tante famiglie partecipi ed incredule. Il Vangelo di Giovanni su Lazzaro e quello di Giobbe su quanto resta scritto, inciso della vita di un uomo: difficile pensare a Manuel come a Lazzaro adesso, che dorme e poi si alza in un’altra vita, più alta e vera. Anche Cristo ieri «dormiva» per poi risorgere oggi. I singhiozzi della mamma si sono placati un poco solo durante la lettera di San Paolo ed i parenti, gli zii e i nonni del ragazzo l’hanno tenuta vicina sempre, come una ferita che non si rimargina. La cugina Melania ha letto uno scritto che descrive Manuel con semplicità ed amore e lo indica come un mito non solo per il suo essere pugile, ma per la sua anima buona e combattente: ad ogni aggettivo una lacrima degli amici.
 

AFFRANTO il suo allenatore, Colombo Romanini, un alter ego di affetto e stima. Ci sono eventi che ci spiazzano: si esce di casa e non si torna più, per seguire tutti gli altri giovani che ci hanno lasciato, recitati in un elenco triste da don Andrea. Nomi e brevi vite oramai altrove. Poi il corteo è uscito, gli amici hanno portato la bara a spalla fino al camposanto di Montebello in un lutto cupo e totale. Il profeta di Gibran, di fronte alla domanda sulla morte, dice: «Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita. Poiché la vita e la morte sono una cosa sola, come il fiume e il mare». Manuel, con i suoi guantoni, era l’emblema della vita.
Isabella Piaceri