Viareggio, 27 giugno 2013 - «Ma di che cacchio cacchio stiamo parlando?». Con un’espressione quantomeno colorita, se non proprio di basso profilo e certamente inappropriata per un’aula di tribunale — benché successivamente corretta con un «mi sia scusata l’espressione» — l’avvocato Luigi Stortoni si è rivolto al Gup Alessandro Dal Torrione per difendere la posizione dei suoi due assistiti, Giovanni Costa e Giulio Margarita.

Il primo direttore della direzione tecnica di Rfi rete ferroviaria italiana, il secondo già direttore della struttura operativa sistemi di gestione sicurezza, circolazione treni ed esercizio ferroviario di Rfi. A beneficio dell’avvocato Stortoni ricordiamo di cosa stiamo parlando. Di 32 persone morte bruciate nelle loro abitazioni a seguito del deragliamento di un treno che trasportva gpl e che, attraversando la stazione di Viareggio, percorreva una linea ferrata direttamente gestita da Rfi.

L'avvocato Stortoni ha ribadito che a determinare lo squarcio sulla cisterna della morte non fu il picchetto come rimarcato dalla maggioranza di tecnici ed esperti, oltre che dalla commisione d’indagine per il ministero dei trasporti che fa capo alla direzione generale per le investigazioni ferroviarie dello stesso ministero diretto dall’ingegner Marco Pittaluga, ma la piegata a zampa di lepre, come da conclusione dell’incidente probatorio.

Secondo Stortoni le conclusioni presentate dai tecnici nominati dal Gip Simone Silvestri all’incidente probatorio sono un monolite, mentre il lavoro della commissione ministeriale è carta straccia. Stortoni è andato anche oltre. Ha sostenuto che nessuno aveva percepito prima di Viareggio la pericolosità dei picchetti «Se Costa e Margarita — ha detto l’avvocato Stortoni — avessero detto: togliamo tutti i picchetti, li avrebbero rinchiusi. Costerebbe 5 miliardi un’operazione del genere. Il fatto è che i picchetti c’erano, ci sono, ci sono in tutto il mondo; nessuno ha mai pensato che fossero pericolosi, nemmeno gli specialisti come il professor Toni (il consulente della Procura, ndr). Questa è la realtà incontestabile».

E poi aggiunge, a tutela dell’immagine dei suoi assistiti: «Io voglio che si dica che non hanno avuto una condotta colpevole. Sono professionista di alto livello e di alta moralità». La linea difensiva di Stortoni, è stata sposata anche dall’avvocato Gaetano Scalise che difende l’ingegner Enzo Marzilli, all’epoca dei fatti direttore della direzione norme standard sviluppo e omologazione di Rfi.

A lui la Procura contesta proprio la mancata rimozione dei picchetti. Da un’indagine svolta in Europa solo due Paesi della Comunità europea non adottano più il sistema della picchettazione. L’intervento di Scalise è stato a lungo incentrato sulla questione picchetto e conseguentemente sull’incidente probatorio. Il legale ha invitato il giudice a rileggere le conclusioni “fatte dai suoi periti”, rimarcando più volte quel suoi a voler dare valore assoluto agli esiti dell’incidente probatorio. Su queste basi sia l’avvocato Luigi Stortoni che il suo collega Gaetano Scalise hanno chiesto il proscoglimento per i loro assistiti.

Paolo Di Grazia