Viareggio, 1 febbraio 2012 - E’ UN CASO straordinario, con al centro un bambino di poco più di tre anni, affetto da una gravissima disabilità causata da una malattia metabolica progressiva. Rara e incurabile. E nonostante che il male non gli permetta di parlare bene, sorridere, stare seduto, camminare, mangiare il bambino dipinge. Quadri coloratissimi su tele che hanno sbalordito anche i critici d’arte. Per questo la famiglia è stata convinta a realizzare una mostra dall’11 al 19 febbraio nella chiesa viareggina di S. Rita a cura dell’Unione degli artisti cattolici. Questa è la storia straordinaria e commovente di Emanuele Campostrini di Camaiore, per tutti affettuosamente ‘Mele’, il quale anche se non riesce a parlare ci dà a tutti una straordinaria lezione di forza di volontà e di coraggio. Motivazioni queste che sono alla base dell’idea di realizzare una mostra come ci conferma la mamma, Chiara Paolini.

 

«L’ESPOSIZIONE non serve a vendere nulla o a realizzare un profitto. Io e mio marito Massimo abbiamo accettato perché quello che ci manda a dire Emanuele, anche se lui non riesce a parlare, è un messaggio di grande speranza. La sua voglia di lottare è la nostra e speriamo che sia di stimolo per tante famiglie che sono come noi». Vedere le ‘opere’ di Emanuele fa restare tutti a bocca aperta: un caleidoscopio di molteplici forme e colori che neanche un’artista esperto saprebbe creare. E lui ci riesce con un incontro di sguardi, di vibrazioni cerebrali, in costante simbiosi con sua mamma.

 

E’ la stessa signora Chiara a raccontarlo. «E’ iniziato tutto per caso. Avevamo comprato le tempere per bambini non tossiche per il fratello di ‘Mele’, Giovanni, che ha 5 anni e non ha nessun problema. Ma da buoni genitori che non fanno disparità abbiamo portato una tela a disposizione di ‘Mele’ per vedere quale era la sua reazione. Al contrario del fratello ‘Mele’ ha dimostrato un eccezionale interesse. Lui con i gesti che può fare mi indica la tela tra quelle di varie dimensioni che gli presento davanti. Da solo non sarebbe in grado di dipingere e neanche di sopravvivere se non dipendesse da altri. Ma è lui che sceglie i colori, la dimensione dei pennelli, indicandomi con gli occhi e con piccolissimi gesti, oltre che con suoni che io e gli altri debbono comprendere e assecondare».

 

Poi realizza i quadri preferibilmente da sdraiato. Continuamente Emanuele dà istruzioni al suo interlocutore su dove vuole il colore (sulle sue mani o sulla tela) e deve essere sostenuto anche quando usa il pennello. «Dipingere — spiegano i genitori — è per lui più che parlare, il suo unico modo di raccontarsi». I suoi dipinti parlano di quotidianità: la casa, il giardino, gli eventi piccoli che diventano grandi esperienze della vita. Sembra che pasticci ma quando si guarda il quadro finito si resta sbalorditi per gli azzeccati accostamenti cromatici e l’intenzionalità descrittiva. «Sembra che qualcuno da lassù lo guidi» dicono i genitori. «Un evento mirabile e raro» chiosa il critico d’arte Enrico Dei. Una lezione da un bimbo sfortunato che deve far riflettere.