Perugia, 7 gennaio 2011 - È bello pensare che anche da un infortunio dopo 15 anni di danza possa nascere qualcosa di positivo. È capitato alla folignate Irina Mattioli: lei così ha scoperto la passione per la fotografia, passione che si sta trasformando in un mestiere. "Non potevo muovermi e allora ho iniziato a fotografare le mie amiche che ballavano". Da allora la scuola di danza è il set preferito dei suoi scatti (sotto a destra una delle sue opere) e dal segno grafico che i corpi lasciano nel buio dei fondali sono partite interessanti collaborazioni.

 

"Fin qui è successo tutto per caso", ripete lei con la consapevolezza e l’umiltà di chi ha voglia di fare tanta strada. Ma i riconoscimenti in tre anni di pratica da autodidatta non sono mancati e a 21 anni è già stata notata da Franco Venanti, che l’ha chiamata per una collettiva di cui si sentirà presto parlare. "Lavorando con Venanti — spiega la Mattioli — ho collezionato quelli che giudico i miei migliori scatti. Essendo io una ritrattista astrattista mi sono concentrata sulla figura femminile: nudi e seminudi vicini allo spirito onirico delle ultime produzioni del maestro".

 

Il corpo in movimento, dunque, seppur visto dal mirino della fotocamera, rimane la sua ispirazione.
"È vero. Molti dei miei modelli sono ballerini, anche per i ritratti. E poi mi viene naturale fotografare il teatro di danza. Inconsciamente infatti percepisco passi e salti un attimo prima che avvengano. La sfida per un fotografo non è del resto solo cogliere un grand jetée o un bell’arabesque, ma catturare il momento in cui il danzatore dà il massimo dell’estensione e io, da ballerina, riesco a farlo meglio uno tecnicamente più preparato di me. E’ quello che mi ha fatto notare anche Pierluigi Abbondanza e che mi incoraggia a non usare lo scatto continuo".

 

Abbondanza è uno dei più noti fotografi di danza in Italia, come l’ha conosciuto?
"Abita al Trasimeno e un giorno è venuto a fare degli scatti allo spettacolo della mia scuola. Siccome le insegnanti avevano insistito per esporre nel foyer del teatro le foto scattate da me ai ballerini durante le prove, come nella tradizione del balletto classico, lui le ha potute vedere. Gli sono piaciute, mi ha detto che avevo occhio e mi ha portato con sé in diversi lavori come assistente".

 

Dunque l’importanza dei mentori...
"Assolutamente. È ad esempio anche su consiglio di Daniele Mattioli, un reporter del trevano di stanza a Shangai che mi sto concentrando sulla produzione di un mio archivio. Perché per ora alle mostre preferisco le collaborazioni, concrete e più formative. Come quelle editoriali con il ‘Post’, rivista del dipartimento di filosofia della Ca’ Foscari, distribuita in libreria. O con ‘Nyc-Venice’, il bimestrale della Mazzanti per gli areoporti newyorkesi. Mi piace lavorare anche con Federico Sfascia, un giovane regista che sta girando un lungometraggio: per lui documento le riprese di scena e curerò le locandine".

 

E a Foligno come si trova?
"Scatto spesso per Young Jazz, ma non mi sento ancora in diritto di chiedere spazi. Credo che a oggi sia in generale un po’ troppo radical chic, ma posso contare su amici molto schietti".

 

Chi vorrebbe diventare?
"Irina Jonesco, fotografa di nudi senza tempo ma molto aggraziati, addobbati con fiori maschere o pizzi per il puro piacere della bellezza".