Perugia, 14 marzo 2010 - Gli scatti con foro stenopeico, che imprimono la pellicola grazie a un buchino in una comune scatola, sono cosa antica e negli anni ’60 la tecnica tornò in auge con la creazione di macchine bizzarre. Ma la creatività del perugino Francesco Capponi, in questa storia, ha un posto singolare: a 33 anni il suo “pinolo” fotografico (un seme come macchinetta, nato per assonanza a “pinhole”, foro in inglese) è tra le venti fotocamere più strane del mondo.

 

E dopo la tesi all’Accademia di belle arti cittadina in “foto-fonia” (serie di scatti di sé al pianoforte, con i tasti usati come otturatori), la passione per la manipolazione non l’ha più abbandonato, abbinando fotografia e scultura. Altro che piatta era digitale. In attesa di vedere le sue immagini raccontare Perugia in “Forma urbis” a fine mese nel nuovo spazio espositivo Combo Arci in via Cartolari, l’ho incontrato nel suo studio di Ponte Rio, dove si chiude quando non lavora con il padre. E’ appena rientrato da un workshop a Terni sulla costruzione della stenopeica a chiusura della mostra “Play” e di recente è stato impegnato in una scuola a San Sepolcro, per preparare gli studenti a un’insolita gita a Berlino.

 

La stenopeica per riscoprire la fotografia dopo i cellulari?
"Sì, a San Sepolcro abbiamo presentato la stenopeica a una classe del quinto con la fotografa Alessandra Baldoni, chiamati dalla comune amica, insegnante e artista, Ilaria Margutti. L’intento era proprio quello di far ripensare ai ragazzi l’idea della fotografia, che certo non è solo alzare il cellulare e scattare. Alessandra ha dato dei temi da seguire sul campo; così, in gita, dovranno fermarsi, ideare l’immagine e trovare il tempo per l’inquadratura e l’esposizione. Vedremo cosa ne verrà fuori, intanto io ho preparato per loro 17 macchinette".

 

Ma cosa può essere usato per una stenopeica?
"Il mio primo esperimento è stato con una scatoletta del the. Poco fruttuoso a dire il vero, ma mi piace l’idea del riciclo, di ridare vita agli oggetti, trasformarli. Qualsiasi cosa cava può essere una fotocamera, anche il tronco di un albero. Per il risultato, poi, dipende dalle situazioni. Quando con il cappello a cilindro ho voluto fotografare un coniglio, ce n’è voluto: non si decideva a stare fermo".

 

Nella stenopeica l’esposizione si allunga, quanto è importante il tempo nelle sue foto?
"Io non ho mai sviluppato il fattore tempo come hanno fatto altri. Piuttosto mi piace pensare le foto in modo da sottolineare la dimensione temporale. In Forma Urbis sarà più evidente. In fondo l’estetica della stenopeica è più vicina al sogno che alla realtà. Permette di descrivere come noi ci ricordiamo le cose: con le foto lunghe quanto la nostra memoria. Selezionando solo gli elementi che vogliamo, facendo scomparire le persone. Ma posso farlo solo perché sono io a creare i presupposti. In questo è un modo di sovvertire l’oggettività della fotografia".

 

A suo modo sovversivo anche il video di foto manipolazione “Zink-Pogo”, con centinaia di commenti entusiasti in tutto il mondo. Sottotitolo, la fantasia che non ci si aspetta da una stampante?
"Il video l’ho fatto con Francesco Biccheri, di Gubbio e la stampante “zink”, a zero inchiostro l’ho comprata apposta: quando ho scoperto che era termoreattiva ho capito subito che potevo sperimentare. Presa una stampa, infatti, con più calore si ha il blu, se la lavo diventa rosa, con la carta vetrata si ottiene il giallo, e così via. E’ il ‘photoshop analogico’, come mi hanno scritto in un commento. Perché invero sono tutti effetti realizzabili al pc con il programma, ma con la manipolazione c’è più emozione, nei tentativi casuali e nello sporcarsi le mani. Il percorso si sente. Lo stesso, in fondo, accade con la costruzione di una stenopeica".