"Raffaella punita per il suo amore"

Quello di Raffaella Presta, uccisa il 25 novembre scorso nella sua villetta, fu un delitto premeditato. L’aggravante contestata dal pm: motivi futili e premeditazione

Raffaella  con il marito all’epoca della loro storia

Raffaella con il marito all’epoca della loro storia

Perugia, 9 novembre 2016 - FU UN DELITTO premeditato quello di Raffaella Presta, la mamma uccisa il 25 novembre scorso nella sua villetta al Bellocchio. Francesco Rosi, il marito, colpì per uccidere. E per questo ricaricò per ben due volte la doppietta di proprietà del padre: una volta a canna singola, la seconda dalla stesa canna ma multipla. Il primo colpo ferì la donna, il secondo la finì. A pochi metri dal bambino di sei anni. C’è tutto questo nella richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pm Valentina Manuali al giudice Alberto Avenoso. L’udienza è fissata al 2 dicembre.

IN PARTICOLARE, secondo il magistrato, Rosi si «garantì l’immediata disponibilità dell’arma da sparo e del relativo munizionamento» e «programmò il delitto alla luce di pregressa causale omicidiaria – è scritto nel capo di imputazione –». Quindi esplose «il primo colpo dalla canna destra e poi ricaricò l’arma esplodendo il secondo dalla medesima canna». Le aggravanti pesano come macigni. Oltre alla premeditazione la procura contesta all’ex agente immobiliare l’aver agito per motivi abbietti e futili «per punire la vittima per una presunta relazione extraconiugale» e per aver «commesso il fatto in presenza del figlio di sei anni».

IL SECONDO capo di imputazione riguarda i maltrattamenti subiti dalla giovane avvocatessa. «In modo abituale e continuativo – è scritto – maltrattava la moglie Raffaella mediante reiterate condotte di violenza, offese, atti di sopraffazione e di disprezzo idonei ad infliggere continue sofferenze fisiche e morali ed imporre alla stessa un regime di vita mortificante, improntato alla soggezione psicologica».

IN PARTICOLARE Rosi avrebbe impedito alla moglie di uscire da sola, nascondendo – è la ricostruzione del magistrato – anche le chiavi dell’auto, controllando le sue chiamate, impedendole di ricevere telefonate, pedinandola e picchiandola. Fino, in un’occasione, a causarle la perforazione della membrana timpanica dell’orecchio destro. Un massacro finito nel sangue. Rosi è difeso dall’avvocato Laura Modena che ha svolto indagini difensive per cercare di ribaltare la tesi dell’accusa. Fu Rosi a chiamare i carabinieri autoaccusandosi ma - per la difesa – il delitto è completamente differente rispetto all’accusa.