Perugia, 21 aprile 2014 - A quasi 40 anni dalla storica approvazione della legge 194 del 178, il diritto all'aborto in Italia e in Umbria è fortemente messo in discussione. La denuncia arriva dal congresso della Cgil dell'Umbria, tenuto la scorsa settimana a Foligno, che ha approvato un ordine del giorno nel quale si evidenziano le forti criticità della situazione per le donne che vogliono ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza.
“Le difficoltà nell'accesso alle Ivg, peraltro dimezzate in trenta anni – si legge nell'ordine del giorno della Cgil - sono dovute all'aumento delle obiezioni di coscienza (+17,3% dal 1983 a oggi) e ad una «inadeguata» distribuzione del personale nelle strutture sanitarie. Insomma mentre diminuisce il ricorso agli aborti in tutte le fasce d’ età e per la prima volta anche tra le donne straniere, continua ad aumentare la scelta dell’obiezione di coscienza, che in Italia, ma anche in Umbria, ha raggiunto la percentuale del 70%. A volte questa scelta non dipende da questioni etiche o religiose quanto da aspetti organizzativi e professionali fortemente penalizzanti”.

Ma per la Cgil la legge sancisce i confini del diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario, dato che “un diritto (l’ obiezione) non può compromettere l’ esercizio di altri diritti”. Quindi, il sindacato evidenzia che la legge non prevede “un’obiezione di coscienza di struttura”, ma “ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) dev’essere dunque obbligata ad applicare la legge. Solo a fronte di questo impegno può essere concesso l’accreditamento”. Inoltre, la Cgil ricorda che non è previsto l’esercizio dell’obiezione di coscienza per la prescrizione e la vendita di dispositivi per la contraccezione, compresa la cosiddetta pillola del giorno dopo (che non è un farmaco abortivo).

“Chiediamo che la Regione Umbria regolamenti finalmente la somministrazione della RU 486 (interruzione di gravidanza farmacologica) superando i ritardi e le difficoltà di questi anni – scrive ancora la Cgil nell'odg - con la RU486 non si cambia la legge 194, non si ampliano le possibilità, non si allentano i limiti e non si riducono le garanzie: semplicemente si offre (nel primo periodo consentito dalla legge 194) una modalità alternativa a quella chirurgica meno invasiva , che negli altri Paesi europei avviene con modalità di trattamento ambulatoriale e domiciliare”. Oggi in Umbria soltanto tre ospedali (Narni, Amelia e Orvieto) assicurano sperimentalmente il trattamento. “Occorre superare polemiche e resistenze non più tollerabili – continua la Cgil - Chiediamo, inoltre, che si ridia ruolo e centralità ai consultori familiari: un servizio fortemente voluto dalle donne e connesso con i loro diritti. Nella nostra regione, realtà diffusa ma disomogenea nel territorio, a volte ingabbiati in una attività solo ambulatoriale e con personale ridotto all’osso”.