Perugia, 19 maggio 2012 - Nell'inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi, la figlia di un messo del Vaticano del quale non si sa piu' nulla dal giugno 1983, finisce anche mons. Pietro Vergari, originario di Sigillo (Perugia) ex rettore della basilica di Sant'Apollinare dove, fino a lunedi' scorso, e' stato sepolto Enrico De Pedis, il boss della Banda della Magliana ucciso 22 anni in un regolamento di conti.

PC SEQUESTRATO. Monsignor Vergari e' stato iscritto nel registro degli indagati prima dell'apertura della tomba di Enrico De Pedis. L'iscrizione e' legata ad una perquisizione presso il suo domicilio nel corso della quale e' stato sequestrato un computer.  Lui si difende: "Sono assolutamente tranquillo, non ho nulla da nascondere''.

Concorso nel sequestro della giovane, che all'epoca aveva 15 anni, il reato ipotizzato dalla Procura di Roma nei confronti dell'alto prelato. Un'iscrizione, quella nel registro degli indagati, avvenuta recentemente e non e' escluso che tale iniziativa possa essere scaturita dal ritrovamento di ossa recenti all'interno della cripta dove, da lunedi' scorso, sono in corso le attivita' di selezione da parte degli esperti della polizia scientifica. Anche per questo motivo l'iscrizione di don Vergari viene definita un atto dovuto.

Nel 2009 mons. Vergari fu sentito dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Simona Maisto sui motivi che avevano determinato la sepoltura di De Pedis nella Basilica che si trova nel centro di Roma. Mons. Vergari spiego', poi, sul suo sito online che ''De Pedis veniva piu' volte nella chiesa'' e che lo aveva ''aiutato molto per preparare le mense che organizzavo per i poveri''.

Qualche tempo dopo - spiegava l'esponente religioso sul proprio sito - i suoi famigliari mi dissero che De Pedis aveva espresso l'auspicio di essere sepolto in quella che rappresentava una delle piu' antiche camere mortuarie di Roma, il sotterraneo della basilica di Sant'Apollinare.

''Furono chiesti - affermo' Vergari - i dovuti permessi religiosi e civili, fu restaurata una delle camere e vi fu deposto'', non prima che la vedova del boss si rivolgesse al cardinale Ugo Poletti avendo in mano l'attestazione che ''il signor De Pedis e' stato un grande benefattore di poveri che frequentano la basilica''.

L'inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi conta altri indagati: tra questi Servio Virtu', gia' autista di Renato De Pedis, Angelo Cassani, detto ''Ciletto'', Gianfranco Cerboni, detto 'Gigetto' '', tutti in qualche modo legati alla holding del crimine attiva a Roma negli anni '70/'80 e Sabrina Minardi, ex amante di De Pedis e supertestimone che ha ricollegato la sparizione di Emanuela alla Banda della Magliana.

"Tra le più belle esperienze della mia vita sacerdotale in Roma - racconta monsignor Vergari sul suo sito internet  -  innanzi tutto l'impareggiabile servizio ecclesiale nella Curia Romana, poi la visita agli ammalati negli ospedali di S. Giovanni, S. Spirito, allo Spallanzani nel reparto "malattie infettive", il lavoro per le vocazioni sacerdotali, mi è stata carissima quella della visita alle carceri di Regina Coeli, per quasi venticinque anni, ogni sabato sera, dove potevo portare una parola di conforto e di speranza alle persone detenute e di conseguenza ai loro familiari.

Parla poi di De Pedis. "Nel carcere - scrive Vergari - mai ho domandato a nessuno perchè era là o che cosa aveva fatto. Tra le centinaia di persone incontrate dei più diversi stati sociali, parlavamo di cose religiose o di attualità; Enrico De Pedis veniva come tutti gli altri, e fuori dal carcere, ci siamo visti più volte: normalmente nella chiesa di cui ero rettore, sapendo i miei orari e altre volte fuori, per caso. Mai ho veduto o saputo nulla dei suoi rapporti con gli altri, tranne la conoscenza dei suoi familiari. Aveva il passaporto per poter andare liberamente all'estero. Mi ha aiutato molto per preparare le mense che organizzavo per i poveri. Quando seppi dalla televisione della sua morte in Via del Pellegrino, ne restai meravigliato e dispiacente".

E ancora: "Qualche tempo dopo la sua morte i familiari mi chiesero, per ritrovare un po' di serenità, poiché la stampa aveva parlato del caso e da vivo aveva espresso loro il desiderio di essere un giorno sepolto in una delle antiche camere mortuarie, abbandonate da oltre cento anni, nei sotterranei di S. Apollinare, di realizzare questo suo desiderio. Furono chiesti i dovuti permessi religiosi e civili, fu restaurata una delle camere e vi fu deposto".

Sulle visite alla tomba: "Anche in questa circostanza doveva essere valido come sempre, il solenne principio dei Romani " Parce sepulto ": perdona se c'è da perdonare a chi è morto e sepolto. Restammo d'accordo con i familiari che la visita alla cappella funeraria era riservata ai più stretti congiunti. Questo fu osservato scrupolosamente per tutto il tempo in cui sono rimasto rettore, fino al 1991".