Perugia, 5 maggio 2012 - LO CERCAVANO le polizie di mezzo mondo e lui lavorava tranquillamente in un locale pubblico del centro storico di Perugia. Bernardo Provenzano, «Zu’ Binnu», per 32 anni insieme a Totò Riina ai vertici di Cosa Nostra e sulle cui spalle pendeva uno dei tre ergastoli che gli erano stati comminati in contumacia per essere stato il mandante delle stragi in cui erano stati uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, avrebbe trascorso alcuni mesi della sua latitanza, durata 43 anni, nel capoluogo umbro, lavorando in un locale pubblico frequentato dagli studenti universitari.

LA CLAMOROSA rivelazione emerge a sei anni dall’arresto del feroce capo della mafia siciliana grazie alla dichiarazione di un professionista laziale trentaquattrenne che all’epoca dei fatti era studente a Perugia. Quest’ultimo è assolutamente certo di quello che racconta. «Ricordo bene l’aprile del 2006 quando vidi in tv un servizio sull’arresto di Provenzano. Saltai sul divano per lo stupore. Si trattava infatti della stessa persona che avevo conosciuto nel 2003 in un locale di Perugia che frequentavo abitualmente e il cui titolare era all’epoca un uomo del sud molto espansivo e col quale avevo un rapporto di cordialità». Anche con il suo dipendente, l’ex studente ricorda di essersi spesso intrattenuto. «Di quell’uomo mi aveva colpito l’età avanzata (Provenzano è del 1933, all’epoca aveva 70 anni, ndr), mi sembrava strano che un pensionato si dedicasse a un lavoro di fatica. Per il resto era una persona cordiale con un chiaro accento siciliano, molto sulle sue. Parlava più che altro se gli si rivolgeva la parola e ricordo che abbiamo scambiato battute e commenti vari». L’11 giugno 2003 l’ex studente, che aveva l’hobby della foto ed era solito girare per Perugia con la macchinetta analogica, scattò una foto al titolare del locale e a quell’uomo. «Quando andai a sviluppare la foto ebbi la conferma di quanto mi era sembrato di vedere mentre scattavo, cioè che quella persona aveva di colpo alzato una mano per coprirsi il volto».

IN SEGUITO l’ex studente ha avuto contatti anche con un altro collega di Università. «Anche un mio compagno di studi che ora vive all’estero aveva subito ricollegato le foto di Provenzano viste sui giornali e in televisione quando l’arrestarono a quell’uomo presente nel locale che frequentavamo insieme». Il professionista ex studente ha raccontato la storia nella trasmissione «Funamboli di Notte», trasmessa dall’emittente viterbese Radio Verde i cui conduttori Daniele Camilli, Simone Carletti e Roberto Pomi lavorano da tempo anche a un altro caso di cronaca collegato a Provenzano. Si tratta della misteriosa morte dell’urologo Attilio Manca, che avrebbe operato Provenzano per un tumore alla prostata in una clinica di Marsiglia. Camilli, autore di un’inchiesta sulle penetrazioni mafiose a Viterbo, è stato il primo a vedere la foto scattata nel locale perugino e l’ha sottoposta a un alto dirigente di polizia che non ha escluso possa trattarsi proprio del capo della mafia.
 

TORNANDO a Manca, il medico originario di Barcellona Pozzo di Gotto lavorava all’ospedale Belcolle di Viterbo ed era uno dei pochi in Italia ad operare la prostata in laparoscopia, con una metodologia appresa in Francia. Nel 2004 venne trovato morto a Viterbo, apparentemente per una dose letale di farmaci e droga. Nell’appartamento furono trovate due siringhe. L’indagine della procura viterbese e gli accertamenti del Ris hanno accertato che Manca venne ucciso, ma la coincidenza singolare è che i viaggi a Marsiglia di Provenzano insieme al medico sarebbero avvenuti proprio nei due periodi in cui si sostiene di aver visto il boss camuffato al lavoro nel locale perugino, ovvero l’inizio dell’estate e a settembre-ottobre 2003.

«IL TITOLARE del locale — aggiunge l’ex studente — mi disse di stare aiutando quell’uomo, assunto perché aveva problemi di salute».
 

Claudio Lattanzi