Orvieto, 3 dicembre 2010 - Lo ha accolto all’ingresso dalla casa del Signore per l’ultima volta come un padre affettuoso, sfidando il vento gelido, e dall’altare ha chiesto perdono a Dio per se stesso, ma anche per una "Chiesa che sta crescendo in tanti suoi esponenti di spicco, ma ha ancora bisogno di crescere nell’amore".

 

È stato uno dei passaggi salienti che il vescovo monsignor Giovanni Scanavino ha scandito a voce ritmata, ieri pomeriggio, celebrando in Duomo le esequie del diacono Luca Seidita, il ventottenne pugliese che si è tolto la vita gettandosi dalla rupe dopo che la Santa Sede si era opposta alla sua ordinazione sacerdotale, già in programma per il 7 dicembre e "benedetta" dallo stesso vescovo contro il parere del Vaticano che non lo riteneva maturo, nè adatto a fare il prete.

 

Pur di consentire a don Luca di coronare l’aspirazione della vita, padre Giovanni ha sfidato la Santa Sede e ieri pomeriggio gli occhi delle centinaia di persone presenti in Duomo erano tutte concentrate su di lui per carpirne ogni minima espressione, debolezza o cenno di sfida che fosse.

 

Soltanto la solennità del dolore è riuscita a sopire per un’ora, e a malapena, il brusio che, da due giorni, arde come un fuoco sotto la cenere di questa immane tragedia, alimentando un rumore di sottofondo nutrito da illazioni sulla vita personale e le frequentazioni di Luca (il vescovo ha dovuto chiarire di non aver alcun elemento sulla sua presunta omsessualità), ma anche sui veleni che sarebbero sparsi da tempo all’interno della Curia orvietana, con alcuni prelati inclini a non disdegnare qualche passo falso del vescovo pur di metterlo in cattiva luce a Roma o, addirittura, disponibili a far trapelare qualche parola di sbieco e tutt’altro che benevole verso il loro pastore.

 

Maldicenze, piccinerie, bassezze che il vescovo stesso ha voluto scacciare come mercanti dal tempio. "Chiediamo perdono per la polvere e il fango che sono stati gettati ai piedi di questo fratello", ha invocato monsignor Scanavino. Ma a sentirsi in colpa per non aver saputo proteggere fino in fondo il fragile Luca è soprattutto il vescovo, che ha implorato anche "perdono a Dio per non essere stato in grado io, suo padre affettuoso, di parargli questo colpo".

 

La celebrazione in cattedrale è stata voluta fortemente da Scanavino come una sorta di compensazione di quella festa per l’ordinazione a cui il ragazzo nato in un paesino della Puglia e che aveva da poco perso il padre, non avrebbe avuto modo di vivere e gustarsi.

 

E mentre il vescovo scoppia in lacrime davanti a tutti, viene in mente la semplice frase che amava ripetere madre Teresa, ma che in troppi avevano dimenticato parlando per mesi di don Luca e della sua vita: "Se giudichi gli altri, in verità non hai tempo per amarli".