Perugia, 27 ottobre 2010 - Centomila regolari. Uno ogni dieci umbri. Una parte si sono inseriti anche conquistando un decoro approdo economico; molti, però, affrontano disagi che la crisi ha reso più acuti non solo per la accresciute difficoltà di mettere d’accordo il pane col companatico, ma anche per il confronto ambientale con residenti di lungo corso che avvertono — anche loro — il peso della precarietà.

 

L’edizione numero 20 del Dossier ‘Caritas-Migrantes’ propone — nella conferenza stampa coordinata da Riccardo Liguori — l’immagine di un’Umbria chiamata ogni giorno di più a misurare la convivenza con massicci l‘innesti’ che, in buona parte, si dibattono in mezzo a mille interrogativi (lavoro, casa, mutui, figli a scuola… ) spesso privi di accettabili risposte. Frizioni limitate, comunque. In effetti, al di là del quadro statistico talora allarmante, emerge pure l’immagine psicologica di una popolazione — la locale — che sempre meno diffida di chi viene da lontano. Daniela Monni e Stella Cerasa — vertici della Caritas diocesana — rilevano: «La paura resiste soprattutto in chi non ha modo di confrontarsi con gli stranieri.

 

E’ vero, tuttavia, che l’immigrato solo e senza lavoro, continua a suscitare, specie negli adulti, qualche diffidenza. I ragazzi, a scuola, hanno ormai assorbito la naturalezza del rapporti con compagni che spesso rappresentano il 50% della classe». CERTO, la fase di transizione economica — ardua per molti — è addirittura arcigna per parecchi di quelli che hanno affidato le speranze all’immigrazione: ai centri di ascolto e alla Caritas ci si rivolge non solo per un po’ di vitto e qualche alloggio, ma anche per risolvere gli assilli del mutuo (qualcuno si è impegnato per 800 euro al mese) o per affrontare spese scolastiche diverse da quelle coperte dalla prevista gratuità. Realtà amare tante più che alcune scuole — rileva la Caritas — sollecitanorisme di carta per le loro fotocopie. Roba da vera indigenza istituzionale.

 

Osserva la Cerasa: «Temo per i prossimi mesi l’assalto vero delle banche che hanno prestato soldi». E’ così complessa la dinamica attuale che, pur ingrossandosi, di anno in anno, la presenza umbra di chi viene da altri mondi, è comunque vero che non pochi domandano sostegni per poter rientrare nelle terre d’origine. Deflussi dettati dalla disperazione che ha stroncato ogni guizzo di fiducia balenata pochi mesi prima, quando pareva che un po’ di lavoro ci fosse. Si torna indietro col groppo in gola. «Magari — osservano le responsabili Caritas — evitano di tornare proprio al loro paese:non vogliono misurarsi con la vergogna di aver fallito l’impresa».

 

A queste evidenze si sommano ulteriori, significative prese d’atto: il ‘mensile’ che è venuto a mancare non ha tagliato le gambe solo agli stranieri. Ha messo in ginocchio anche non pochi italiani. Accade pertanto che diverse famiglie nostrane, prima abituate ad avvalersi — per i lori anziani o malati — delle badanti, ora, per la perdita di uno stipendio, si son trovate costrette a scegliere di ‘badare’ da sole alle loro necessità domestiche. Così le ‘buste-paga’ in meno sono due: l’italiana e la straniera che poteva accudire il «vecchietto». Disoccupazione e crisi economica erodono dall’interno quelle evoluzioni sociali che fino a un paio di anni fa sembravano in piena escalation. E i Centri di ascolti della Caritas, ramificati sui territori, arrivano a cogliere le nuove sfide molto prima di quelle statistiche ufficiali che registrano non in corso d’opera, ma quando le novità sono già consolidate.

 

La panoramica effettuata sulle realtà regionale evidenzia un altro fenomeno particolarmente significativo: «La disoccupazione sta spingendo fuori dal mercato del lavoro soprattutto gli uomini ultracinquantenni. Il fenomeno coinvolge anche donne arrivate in Italia da più di dieci anni, in specie quelle orinarie del Marocco e occupate in agricoltura. E molte di loro avevano tentato faticosamente di concretizzare il ricongiungimento coi familiari. Disperazione moltiplicata, dunque. Emerge, nello studio, anche il tema delle rimesse, cioè dei risparmi che chi è venuto qui a cercare ogni impiego, riesce, risparmiando, ad inviare agli affetti rimasti a casa: secondo i dati forniti dalla Banca d’Italia, malgrado le accresciute difficoltà, non si è troppo frenato il desiderio di inviare qualche soldino: fra il 2008 e il 2009 la diminuzione di quegli attestati si è bloccata l 2%. Protagonisti di questi ‘messaggi postali’ soprattutto romeni, ecuadoregni, marocchini e albanesi. Molti provenienti dall’est europeo preferiscono far viaggiare i loro mini-risparmi utilizzando ogni tre-quattro mesi amici e colleghi che, con bus delle grandi traversate europee, tornano a respirare un po’ d’aria di casa.