Perugia, 21 settembre 2010 - Nessuno sconto, nessuna concessione al dubbio. Tantomeno un ‘ribaltone’ della sentenza di primo grado. Roberto Spaccino è colpevole di aver ucciso la moglie Barbara Cicioni, incinta all’ottavo mese di gravidanza, e merita il massimo della pena anche secondo la Corte d’assise d’appello di Perugia che ieri sera, dopo sette ore di camera di consiglio, ha confermato il primo verdetto e lo ha condannato all’ergastolo.

 

Il presidente Giovanni Borsini, a latere Belardi — gli stesi che avevano concesso le attenuanti generiche a Rudy Guede — legge il dispositivo intorno alle 19.  Spaccino, accanto ai suoi legali è attonito quando sente la "conferma".

 

Poi mette le mani al volto.  Piange. Gli agenti della polizia penitenziaria lo scortano in una stanza destinata ai detenuti. "È in crisi" dice uno dei suoi legali, Luca Gentili che aveva chiesto, fino alla fine, l’assoluzione del suo assistito.

 

"Lotteremo — dice — faremo ricorso in Cassazione e, se sarà necessario chiederemo una revisione del processo. Credo e ho sempre creduto nel racconto di Roberto". "È una sentenza che preoccupa", aggiunge l’altro legale, Michele Titoli.

 

"È un momentaccio. Così no. Non ce lo aspettavamo. Non una conferma dell’ergastolo. Roberto è stato condannato dai giornalisti e dall’opinione pubblica", sono le parole di Gerardo Spaccino, il padre che ha sempre creduto nell’innocenza di suo figlio. Con lui in aula tutta la famiglia venuta da Compignano, il borgo di Marsciano dove nel maggio del 2007 si è consumata la tragedia.

 

Barbara e Roberto vivevano con i due figli Nicolò e Filippo (allora 6 e 4 anni) in una casetta rosa, ora sprangata. Gestivano una lavanderia a Marsciano ma secondo la ricostruzione accusatoria Barbara era una delle tante donne vittime mute della violenza tra le mura domestiche.

 

A Spaccino vengono contestati anche i reati di maltrattamento in famiglia e di procurato aborto.
La sera della tragedia i coniugi ebbero un’accesa discussione. Poi le versioni di accusa e difesa divergono. Secondo la procura generale — Dario Razzi e Antonella Duchini che aveva condotto le indagini — Spaccino soffocò e strangolò la moglie, mise a soqquadro la casa per addossare la responsabilità a fantomatici ladri.
Spaccino invece sostiene di essere andato in lavanderia mentre Barbara veniva uccisa e di averla trovata cadavere al suo rientro.

 

"Sono un capro espiatorio, sono tre anni che non vedo i miei figli e sono innocente" aveva detto ieri mattina prima che la Corte — 5 uomini e una donna tra i giurati popolari — si ritirasse in camera di consiglio.
I legali dell’imputato avevano chiesto anche la riapertura dell’istruttoria dibattimentale e soprattutto la nomina di un collegio che appurasse cause e epoca della morte. Così non è stato.

 

I giudici hanno accolto la richiesta della pubblica accusa che voleva la conferma dell’ergastolo.