Perugia, 21 maggio 2010 - La giornata del crac comincia alla 9 in punto nella cancelleria del tribunale fallimentare di Perugia quando il giudice delegato, Umberto Rana, deposita la sentenza che manda fallite sia il Perugia calcio che la Mas di Leonardo Covarelli: 20 e 80 milioni rispettivamente il "buco" stimato dai giudici. E un centinaio di creditori pronti a farsi avanti all’udienza fissata al 9 febbraio 2011. Era nell’aria ed è accaduto. Ed ora il giorno della disfatta societaria del Grifo sembra non finire mai. Perché con la sentenza di fallimento si mette in moto la corsa contro il tempo per rilevare la squadra prima dell’iscrizione al campionato.

 

"L’interesse del tribunale — chiarisce il giudice Rana che ha assunto la decisione insieme al presidente Aldo Criscuolo e alla collega Francesca Altrui e ha nominato curatori Francesco Patumi (Perugia) e Pacioselli (Mas) — è quello di vendere la squadra il prima possibile per consentire all’eventuale acquirente di potersi re-iscrivere alla federazione. Il nostro obiettivo è quello di non danneggiare nessuno e di fare il più presto possibile per poi rimettere in moto l’azienda sportiva". Per questo entro quindici-venti giorni i giudici contano di riuscire a indire la gara per la vendita del Perugia. Il curatore già si è mosso mettendo i sigilli alla società, ed entro tre giorni il Perugia dovrà depositare i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché l’elenco dei creditori.

 

A nulla è valso il tentativo di Covarelli di vendere le società la notte prima dell’udienza alla "Osj Knights of Malta Foundation", di diritto inglese rappresentata dall’avvocato Franco Rossi di Terracina per 13 milioni di euro. Anzi i giudici, in sentenza, bacchettano pesantemente l’operato dell’amministratore unico di Mas e Perugia calcio contro il quale si è schierata anche la procura di Perugia, chiedendo il fallimento delle società e rappresentando "situazioni di depauperamento aventi il connotato della sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo".

 

Avevano provato, i difensori Fantusati e Portinaro a chiedere tempo per perfezionare la vendita e mettere sul piatto della bilancia almeno quei 200mila euro che facessero desistere gli otto istanti rimasti. "L’irrilevanza del richiesto rinvio — scrive il tribunale — è dovuta da un lato al fatto che lo stato di insolvenza non può ritenersi superato solo perché vi sarebbe la possibilità di destinare il prezzo di acquisto delle quote sociali al pagamento dei creditori istanti il fallimento, dall’altro per l’assoluta intrinseca inaffidabilità ed inattendibilità del contratto esibito per molteplici motivi, non solo formali ma anche sostanziali. Innanzitutto il documento non offre alcuna certezza né in ordine all’esistenza e solvibilità dell’acquirente, né in ordine all’esistenza dei poteri rappresentativi e di spendita del nome della promissaria acquirente (solo affermati ma non documentati) in capo all’avvocato Rossi, né infine, in ordine alle modalità, termini e tempi del promesso pagamento; i 13 milioni di euro inoltre, anche se esistenti e pronti alla consegna (volendo fideisticamente credere al preliminare) non sarebbero comunque sufficienti a coprire posizioni debitorie neanche del solo Perugia calcio srl, tenuto conto del fatto che l’ammontare dei crediti degli istanti il fallimento unitamente al totale dei debiti risultanti dall’ultimo bilancio ufficiale (del 31.06.2009) supera abbondantemente quella somma".

 

"Ciò posto — sentenziano i giudici — ritiene il Collegio che debba essere dichiarato il fallimento... Nessun dubbio — aggiungono — poi può dirsi sussistente quanto al presupposto dell’insolvenza...". E giù in sette punti tutti i nodi venuti al pettine della gestione Covarelli del Perugia calcio che provano l’insolvenza della società.
A cominciare dalle desistenze di Lo Sole (10 milioni di euro) e della ‘Iniziativa 2003’ (3 milioni di euro) che "non significano estinzione dei rispettivi crediti; se così non fosse troverebbero la loro giustificazione in sottostanti atti solutori preferenziali lesivi del par condicio creditorum. E ancora: gli assegni e le cambiali insoluti o protestati, il mancato deposito dell’ultimo bilancio, le crescenti perdite d’esercizio (da 780 mila euro del 2007 ai 3 milioni e 800 del 2009), la denuncia del collegio sindacale che dà atto della mancanza delle «condizioni necessarie a garantire la continuità aziendale stante una situazione di dissesto da qualificare irreversibile e definitiva".

 

Da ultimo, ma non meno importante, la constatazione, da parte del tribunale, sulla base della denuncia dei sindaci e dell’istanza della procura, che ci siano "condotte dell’amministratore alquanto anomale". Legate sia al ‘conto anticipi’ con un saldo a credito di 472 mila euro, che al pagamento degli stipendi per oltre 800mila euro "senza far transitare la provvista nei conti societari" e tutti andati a vuoto. Ma il crac delle società — il secondo del Perugia calcio in appena tre anni — apre altri e più spinosi capitoli giudiziari.