Martedì 16 Aprile 2024

CittaSlow, da 15 anni Orvieto è capitale internazionale del 'buon vivere'

Viaggio tra le città umbre e toscane aderenti alla rete internazionale dei Comuni che promuovono lo sviluppo 'slow'

L'interno del laboratorio della bottega Michelangeli

L'interno del laboratorio della bottega Michelangeli

Orvieto, 22 dicembre 2014 - Il 15 ottobre 1999 sono partiti in quattro, oggi sono 192. Fu solo l'inizio di una rete internazionale che in 15 anni da quattro Comuni italiani è arrivata ad abbracciare trenta paesi. Forse non tutti sanno che la capitale di questo network, che altro non è che un'associazione, è Orvieto. La casa di CittaSlow International, la sigla di questo movimento di sindaci e amministrazioni locali, è, infatti, il palazzo comunale di piazza della Repubblica. L'ispirazione, come evidente dal simbolo stesso dell'organizzazione - una chiocciola che si porta sul guscio una città -, è Slow Food e la filosofia che ne sta alla base: "Interpretare al meglio la modernità, preservando l'anima della propria comunità". A lanciare l'idea che dovessero essere i piccoli Comuni ad assumersi questa responsabilità fu l'allora sindaco di Greve in Chianti, Paolo Saturnini. La palla fu subito colta al volo da un altro primo cittadino del tempo, Stefano Cimicchi, di Orvieto appunto, che insieme al collega del Comune toscano e a quelli di Bra, Piemonte, sede di Slow Food, e Positano, Campania, diede vita, in quel lontano 15 ottobre 1999, nel Teatro Mancinelli, a CittaSlow. Lo stesso Cimicchi chiamò a dirigere la nascitura associazione il giornalista Pier Giorgio Oliveti, attuale direttore della rete internazionale delle 'città del buon vivere'.

Tra i 192 Comuni sparsi per il mondo che in questi 15 anni hanno sposato l'iniziativa ben dieci sono umbri e dodici toscani, quasi a consacrare a modello di riferimento di CittaSlow il borgo medioevale. In questa visione, il compito di preservare l'identità del luogo dai rischi di una globalizzazione 'omogeneizzante' viene assunto dal Comune, nella sua veste amministrativa: "l'anima delle comunità locali si confronta con la realtà d'oggi - si legge in una brochure dell'associazione - ma senza usurarsi a favore del 'globale'". 

Orvieto con la sua rupe è la capitale ideale per un movimento di città che, come scritto nel manifesto, sono "animate da uomini curiosi [...], ricche di piazze, di teatri, di botteghe, di caffè, di ristoranti, di luoghi dello spirito, di paesaggi non violati, di artigiani affascinanti, dove l'uomo ancora riconosce il lento, benefico succedersi delle stagioni, ritmato dalla genuinità dei prodotti, rispettosi del gusto e della salute, della spontaneità dei riti...". Ed è così che la cittadina umbra incarna la direzione indicata nai principi cardine della rete dei Comuni 'slow': urbanizzazione a volumi zero, recupero del patrimonio esistente, mobilità ed energia sostenibile, educazione ambientale, artigianato di qualità, valorizzazione dei prodotti locali, solo per citarne alcuni.

Tra le principali sfide con cui si misura il movimento c'è il succedersi delle amministrazioni. Ma in questi 15 anni non sono state registrate defezioni. Giuseppe Germani, attuale sindaco di Orvieto, eletto a giugno 2014, ha fatto sua la filosofia di CittaSlow e sta lavorando per rilanciarla soprattutto nel Centro Italia. L'abbiamo incontrato il 18 dicembre sotto il Comune all'inaugurazione del mercato CittaSlow al termine di una riunione rifondativa del coordinamento regionale umbro del movimento alla quale hanno partecipato i rappresentanti dei dieci Comuni umbri aderenti e di altre cinque località confinanti.

All'inaugurazione c'era anche una delegazione del Comune di Wenzhou, Cina, interessata ad aderire alla rete.

Ma cos'è CittaSlow lo si vede nella pratica facendo un giro per Orvieto. A partire dalla stazione, ai piedi della rupe, collegata al centro cittadino dalla funicolare e da un servizio di bus elettrici. E proseguendo nei vicoli su cui si affacciano diverse botteghe. Come quella di Federico Badia, giovane artigiano delle scarpe. Un esempio calzante dell'anima di CittaSlow: perché certi lavori, certi sapori e certi prodotti sono solo possibili grazie al tempo. Federico afferma: "Ci vogliono 50 ore per fare un paio di scarpe a mano e su misura, non posso impiegarci di meno".

O la bottega Michelangeli dove secoli di storia e tradizione nell'intaglio del legno si sommano a una 'stagionatura' dell'abete di almeno cinque anni. Gaia Ricetti, manager della ditta di famiglia spiega: "Bisogna essere consapevoli di quale sia il mercato giusto. Non potremmo mai competere con Ikea perché il nostro modo di lavorare è un altro".

Oltre al legno e alle scarpe, l'artigianato locale vanta anche una lunga tradizione nel campo della ceramica. Tradizione che Stefania Portarena ha innovato con un tocco di modernità riuscendo piano piano a farsi spazio in un settore fortemente dominato da ceramisti che si tramandano l'attività da generazioni.

 

L'Arpia: ceramica tra modernità e tradizione #CittaSlow #Orvieto

Un video pubblicato da La Nazione (@lanazione) in data:

Altro fiore all'occhiello del 'buon vivere' orvietano è la cucina e i suoi prodotti. Al mercato di piazza del Popolo è possibile trovare i prodotti della zona e a venderli gli stessi contadini che li coltivano. Sono in molti a ripetere che da queste parti si mangia meglio a casa che al ristorante. Ed è proprio per questo che Valentina Santanicchio sei anni fa ha aperto il ristorante Al Saltapicchio dove cucina casalinga e prodotti a chilometri zero si uniscono a una forte cultura del cibo in grado di conquistare anche i 'locali' più esigenti.

Questo è solo un assaggio dell'Orvieto CittaSlow. Un concetto che è più facile vivere e respirare che teorizzare o 'amministrare' ma che risponde a un bisogno sempre più sentito nelle società occidentali: quello di rallentare la frenesia quotidiana, di avere più tempo per sé, meno 'pressioni'. Un bisogno che dall'altra parte dell'oceano Atlantico, in una delle città più 'fast' del globo, New York, c'è chi ha provato ad arginare individualmente cambiando radicalmente stile di vita. 'Slow cities', città lente, è il titolo di un libro appena uscito negli Stati Uniti (Novembre 2014), che racconta il tentativo di condurre una vita più riflessiva in una grande città. Bill Powers, l'autore, ha deciso di vendere la maggior parte delle sue cose, trasferirsi per un anno in un microappartamento nel Greenwich Village, lavorare solo 20 ore a settimana, ridurre le proprie spese, per cercare di vivere semplicemente. "Vivere con i ritmi dell'Africa occidentale nel cuore di Manhattan" è stata in qualche modo la sfida di Powers.

Sono esperienze molto diverse, da un lato una 'politica' di indirizzo adottata dalle amministrazioni locali, dall'altro una scelta individuale, ma il bisogno alla base è simile. Lo stesso direttore di CittaSlow International riconosce che nonostante all'inizio il movimento CittaSlow fosse formato esclusivamente da piccoli Comuni, il futuro e la scommessa dell'organizzazione saranno le grandi metropoli.

 

Questo articolo è stato realizzato grazie a Round Earth Media, un’organizzazione nonprofit che offre supporto alle future generazioni di giornalisti internazionali. Zanna McKay ha contribuito all’articolo.