Meredith, Amanda fece il nome di Lumumba per porre fine alla pressione dell'interrogatorio

Il tribunale di Firenze ha assolto la Knox dall'accusa di calunnia nei confronti di alcuni poliziotti e di un'interprete. 'Era in una condizione psicologica insopportabile'

Amanda Knox (Ansa)

Amanda Knox (Ansa)

Perugia, 9 aprile 2016 - Fece il nome di Patrick Lumumba per porre fine alla pressione che stava subendo durante l'interrogatorio. Questa è la motivazione, resa dal tribunale di Firenze, dell'assoluzione di Amanda Knox dall'accusa di calunnia nei confronti di alcuni agenti della mobile di Perugia e di un'interprete. Subito dopo l'omicidio di Meredith Kercher Amanda fece alla polizia il nome di Lumumba quale possibile responsabile (ma poi risultato totalmente estraneo e quindi assolto) perché «dando quel nome 'in pastò a coloro che la stavano interrogando così duramente sperava di porre fine a quella pressione».

Il giudice ritiene che le parole della studentessa di Seattle rappresentino «la narrazione confusa di un sogno, sia pure macabro» e «non la descrizione di una vicenda davvero accaduta». La Knox e Raffaele Sollecito sono stati definitivamente prosciolti dalla Cassazione dall'accusa di avere partecipato al delitto Kercher, al quale si sono sempre proclamati estranei.

Riguardo alla calunnia, l'americana doveva rispondere di avere sostenuto davanti alla Corte d'assise di Perugia di essere stata indotta da un'interprete e da alcuni agenti ad accusare Lumumba. Il giudice di Firenze ha però parlato in tale ambito di indagini caratterizzate da «numerose irritualità procedurali» e dalla durata ossessiva degli interrogatori. A suo avviso il contesto nel quale sono state rese le dichiarazioni della Knox «era chiaramente caratterizzato da una condizioni psicologica divenuta» per lei «davvero un peso insopportabile». È quindi «comprensibile» - si legge nelle motivazioni - che «cedendo alla pressione e alla stanchezza abbia sperato di mettere fine a quella situazione, dando a coloro che la stavano interrogando quello che in fondo volevano sentire dire: un nome, un assassino».

Per il giudice il racconto contenuto nel verbale di spontanee dichiarazioni della Knox e quello del memoriale scritto subito dopo appare «la narrazione confusa di un sogno, sia pure macabro, che non la descrizione di una vicenda davvero accaduta». Per il tribunale questo «conferma lo stato in cui si trovava Amanda Knox» in quel momento ed esclude la sua finalità «potesse essere di tacere il nome dell'effettivo autore del delitto». Il procedimento avviato dalla procura di Perugia era stato poi trasmesso per competenza a Firenze.