di Olga Mugnaini

Firenze, 20 maggio 2012 - L’ANNO SCORSO il Metropolitan Museum di New York ha staccato i biglietti per oltre sei milioni di visitatori. E il general manager Suzanne L. Shenton ammette: «Il nostro è un marketing aggressivo. Ai visitatori offriamo mappe, audioguide, percorsi per famiglie, vari punti ristoro e molti altri servizi. Persino un giardino sul tetto!». Se è vero che nel mondo la fetta di turismo culturale cresce ogni anno, è evidente che i musei diventino un fattore determinante per catturare nuovi visitatori.

 

Anche per questo il dibattito sul futuro di gallerie, pinacoteche, aree archeologiche e beni culturali in senso lato è stato uno dei momenti centrali di Art & Tourism, la prima fiera del settore con centinaia di operatori da tutti i continenti che si conclude oggi a Firenze, organizzata da Ttg, società di Rimini Fiera, in collaborazione con la Regione Toscana. Uno dei quesiti posti è stato: come fare per restare competitivi nell’era del virtuale, del multimediale, e delle tecnologie più sofisticate? Se si ascolta cosa fanno all’estero - anche vicino a noi, tipo in Olanda - c’è da farsi accapponare la pelle: «La tecnologia è fondamentale - ha spiegato Marion Wolff del Van Gogh Museum - Il nostro website ha registrato, solo nel 2011, 1,6 milioni di visitatori unici, e con gli investimenti che abbiamo programmato speriamo di arrivare a 15 milioni all’anno entro il 2015». Tecnologia, certo. Basti pensare che il 61% dei visitatori del Metropolitan ha uno smartphone. Ma anche educazione all’amore per l’arte attraverso soluzioni apparentemente più semplici. Come ad esempio stanno facendo al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, dove si rimane sempre di più aperti oltre gli orari tradizionali.

E NEL nostro Paese? Chi sono i visitatori dei musei? Quali sono le esigenze del pubblico italiano? Una risposta è stata presentata dall’Associazione Civita che nel corso di Art & Tourism ha organizzato il convegno dal titolo “E io non ci vado. I motivi della disaffezione”, a cui ha preso parte anche il sottosegretario al Mibac Roberto Cecchi. Secondo i dati raccolti da Civita il 58,9% del campione intervistato (solo maggiorenni) non frequenta musei, mostre o siti archeologici. In termini assoluti vuol dire 28 milioni di persone che non hanno l’abitudine di entrare in uno dei numerosissimi templi della cultura del Belpaese.

 

Perché? I motivi sono prevalentemente quattro: noia, mancanza di soldi, mancanza di tempo o altri interessi. A contare, ovviamente, è anche il grado di istruzione: i laureati costituiscono il 45% dei visitatori. «La mancanza di soldi è spesso una scusa per mascherare lo scarso interesse - ha commentato la sovrintendente al polo museale fiorentino Cristina Acidini - perché la scarsa affluenza investe anche i luoghi dell’arte a ingresso gratuito. Quindi non è solo colpa della crisi». Secondo il sottosegretario Cecchi, in realtà la questione è più complessa. Da un lato ricorda che i visitatori vanno “pesati” in base alla superficie espositiva: «Facendo questo calcolo si vede che gli Uffizi, ad esempio - spiega Cecchi - è uno dei musei più visitati al mondo. Altra cosa sono invece i servizi. I miei numeri dicono che il gradimento dei nostri musei è ancora alto: arriva al 70-75%. Ma si può fare molto meglio se si lavora su tutta la partita dei servizi aggiuntivi, che vanno dai bookshop alle caffettiere. Come fare? Introducendo un carattere più imprenditoriale nella gestione delle strutture. Il tabù è stato infranto e ormai si può parlare di beni culturali e di economia insieme, avendo la percezione sempre più chiara che il nostro patromonio culturale è un fondamentale fattore di sviluppo per il nostro paese e garanzia di integrazione sociale».