Toscana, 9 gennaio 2013 - Un gatto ucciso in modo atroce: riempito di petardi e fatto esplodere. Lo avrete letto, è successo a Pisa la notte dell'Ultimo dell'anno. Purtroppo è solo uno dei tanti casi di violenza che ancora oggi – come se fossimo nel Medioevo – vengono computi ai danni di animali totalmente indifesi. Abbiamo chiesto il parere di una persona che conosce bene la mente umana, la dottoressa Lia Simonetti, medico specialista in Psicologia Clinica, Psicoterapeuta, che lavora a Firenze.

 

"Non è purtroppo infrequente leggere nella cronaca di episodi di violenza e crudeltà fisica compiuti su animali, spesso a opera di bambini e adolescenti. Al di là dello sdegno che queste notizie suscitano, è importante sottolineare - dice la dotteressa Simonetti - come questi comportamenti vadano considerati preciso indicatore di una situazione di disagio emotivo, affettivo e relazionale. Tali manifestazioni possono inquadrarsi in un vero e proprio disturbo della condotta in età infantile o adolescenziale e preludere a un disturbo antisociale di personalità negli stessi soggetti divenuti adulti, in accordo con i criteri diagnostici precisati nel DSM IV, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo. Spesso questi soggetti presentano situazioni familiari e sociali in cui la violenza, intesa nella sua accezione più ampia, pervade l’ambiente relazionale e caratterizza un modello di vita che, anziché favorire le abitudini collaborative, promuove quelle competitive, per cui si legittima un esercizio di potere fino alla sopraffazione nei confronti di individui e specie considerati deboli  (animali, ma anche bambini, donne, anziani, omosessuali,  soggetti marginalizzati, immigrati) da parte di altri che si sentono gerarchicamente superiori".

 

"La reazione di fronte al soggetto debole - aggiunge la dottoressa Simonetti -  è spesso caratterizzata da una forte ambivalenza. Da un lato l’empatia e la compassione (che ci permettono di percepire gli stati mentali dell’altro e sentirne la sofferenza), dall’altro la proiezione negativa, l’avversione più o meno consapevole verso le nostre stesse aree perdenti, mai guarite da fallimenti e frustrazioni relazionali e sociali subiti nel passato. Se i nostri sentimenti d’inadeguatezza  non sono stati elaborati può accadere che trasformiamo il debole nella nostra occasione di rivalsa, facendone quindi una vittima incolpevole. Non esiste uomo solo buono, siamo tutti portatori di sentimenti negativi quali aggressività, violenza, desiderio di sopraffazione; sta a ciascuno di noi, facendo riferimento alla propria griglia morale, decidere come indirizzare queste pulsioni. La capacità di attribuire dignità all’altro si sviluppa grazie a un’educazione familiare e sociale che prima di tutto ci veda destinatari di riconoscimento personale e di cura intesa come responsabilità. Che dire del fatto che sono ancora considerate legali pratiche come la  caccia, la tauromachia, i combattimenti tra cani o tra galli,  solo per citare i più  noti?"

"Altro aspetto da considerare - nota ancora -a dottoressa -  è quello del gruppo:  è osservazione comune di genitori e insegnanti che spesso il comportamento di un ragazzo nel gruppo è diverso da quello che ha quando si trova da solo. Il gruppo infatti non è soltanto l’insieme di più individui, ma un potente motore di pulsioni altrimenti quiescenti, in cui l’identità personale si rafforza tanto più quanto più è fragile. Difficile per un bambino o un adolescente tirarsi indietro di fronte alle iniziative del branco o alla “forza” del leader, anche quando le azioni proposte sarebbero inaccettabili per la coscienza individuale e sociale. C’è bisogno di “sentirsi parte” del gruppo, di essere accettati, di affermarsi anche attraverso azioni fortemente trasgressive e per questo memorabili. Ecco allora che, in un gruppo nel quale il concetto della dignità dell’altro non sia fortemente  consolidato, torturare e uccidere un animale indifeso costituisce per il ragazzo fragile una dimostrazione di virile brutalità che gli conferisce da parte del gruppo stesso una autorevolezza altrimenti irraggiungibile.

 

"Per contro - sottolinea - molti bambini e ragazzi amano profondamente gli animali ed è largamente dimostrato come un rapporto positivo con l'animale aiuta a sviluppare più facilmente un atteggiamento di empatia nei confronti dell'altro, sia esso un animale, un altro bambino, un adulto, una persona di un altro sesso, di un'altra classe sociale o di un'altra cultura. Già il grande poeta romano Ovidio affermava che “La crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà contro gli uomini”. Sarebbe quindi un errore considerare la violenza verso gli animali come un fenomeno isolato e da sottovalutare. Essa è piuttosto un aspetto di un fenomeno più ampio che impone a ogni società civile un risanamento, a partire dai genitori che possono e devono esercitare il loro ruolo in modo positivo, rispettando la soggettività di ogni membro della famiglia, anche del più debole".

"A livello istituzionale - conclude la dottoressa Simonetti -  sarebbe necessario diffondere una cultura di rispetto verso ogni essere vivente, umano e non, promuovendo l’idea che lo sviluppo dell’empatia è, come abbiamo detto, l’unico elemento efficace nella prevenzione della violenza".

 

Patrizia Lucignani