Vicchio (Firenze), 29 luglio 2011 - MITRAGLIATE di porcini e roventini, missilate di chiocciole, lancio di finocchione e asparagi, cannonate di pesche e pezzi di cacciucco: ormai è battaglia «civile» e anche di carte bollate in Mugello per quello che tutti hanno battezzato la «guerra delle sagre del tortello».

 

«Civile» anche perchè viene tirato in ballo il relativo codice perché, come dice un ristoratore locale, Leonardo Manzani de Il Palagio di Scarperia, «usare i porcini della Romania per una sagra che dovrebbe, in base alla legge, valorizzare i prodotti locali e promuovere il territorio, come hanno fatto a Rufina, non è corretto. Come non c’entra il caciucco con il Mugello».
Considerazione retorica. Facile, anzi, che a Livorno se ne prendano anche a male di una «rapina» gastronomica di questo tipo. In questa guerra che è fatta di immagini succulente, la posta economica è molto alta e il problema è proprio serio. Da una parte ci sono un’ottantina di ristoratori e i loro dipendenti (circa 700), i loro stipendi e un giro d’affari calato del 30%; dall’altra la sopravvivenza di decine di squadre e squadrette di calcio, di asociazioni e di iniziative benefiche. Nel mezzo, 400mila fiorentini, disponibili alla gita fuori porta e, soprattutto, con la famiglia da «sfamare». Sì, perchè accanto alle tradizionali sagre paesane, e alle feste di partito, si è aggiunta negli anni una «ristorazione parallela», un festival della gastronomia a basso prezzo e a basse regole sanitarie e fiscali, in grado di mettere in campo, nei sei comuni mugellani, 350 sagre per circa 750 giornate l’anno di impegno.

A CHE SERVE tutto questo? A finanziare, appunto, il buon funzionamento dei polpacci dei campioncini locali. Lo ha ammesso lo stesso sindaco di Borgo San Lorenzo davanti a un ristoratore che protestava per la troppa facilità nel concedere i permessi a queste sagre. «Borgo San Lorenzo - dice Attilio Marucelli presidente della Confcommercio mugellana e titolare della Casa Matta di Vicchio - è il Comune che rilascia più permessi. Addirittura ha sagre in contemporanea a Luco, Ronta e Sagginale. Seguono, in questa speciale classifica, Scarperia e Vicchio».

 

«Io - dice Giuseppe Gallicchio della trattoria Etrusca di Dicomano - sono passato da 11 a 4 dipendenti. Tutti i giorni si presenta qualcuno a chiedermi un lavoro, che non c’è più». Marucelli poi lancia un’altro sasso di fronte alla provocazione: «Invece di protestare, diminuite i prezzi». «Nel mio locale - dice - la spesa per un pasto completo è di 25 euro. In una sagra si potrà risparmiare il 10%, ma i miei prodotti sono veramenti locali e certificati».
Insomma, ne vale proprio la pena andare alle feste gastronomiche paesane? «Le sagre - dice Riccardo Caloffi del Dad’s Bar B.Q. di Vicchio, il primo barbecue americano in Italia - hanno messo molte aziende in mutande. Non è possibile che io continui a vivere sperando che piova o faccia freddo, perché così la gente non va alle così dette sagre del tortello e mi riempie il locale».

 

CONTRO questa accusa di slealtà commmerciale i ristoratori hanno deciso di mettere in campo i legali: lo studio Sanchini di Firenze. Dovrà verificare la possibilità di un ricorso al Tar contro i sei sindaci per il rilascio troppo facile dei permessi alle sagre. La battaglia farà leva su un parere legale autorevole, pagine firmate dall’avvocato Andrea Pisaneschi dello studio «Olivetti Rason». I ristoratori hanno avuto anche la «benedizione» del vicepresidente della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, Aldo Cursano. Proprio la Fipe ha stimato in oltre mille le sagre sul territorio toscano, dove ci sarebbe stato un calo di fatturato degli esercizi pubblici del 26,9% per un importo totale di 43 milioni di euro: una bomba economica che vuol dire alcune centinaia di posti di lavoro in meno. Mica tre fette di cocomero e via.