Lavori sempre in corso

L'editoriale del direttore de La Nazione

Pierfrancesco De Robertis

Pierfrancesco De Robertis

Firenze, 24 luglio 2016 - COMMEDIA degli inganni, festival delle promesse mancate, sceneggiata degli equivoci. Ci sono molti modi per definire quello che sta accadendo da un paio di settimane a Firenze sul tunnel della Tav, ma siccome non abbiamo timore di essere eccessivamente sbrigativi e un tantino provocatori ci permettiamo di usare l’unica parola che racchiude tutti questi venti anni di chiacchiere inconcludenti: vergogna. Una autentica ver-go-gna. Gridato forte, perché quando ci vuole ci vuole. La retromarcia sul tunnel, la mezza marcia avanti sul mezzo tunnel, lo scarto di lato sulla nuova stazione dell’alta velocità già in parte costruita rappresentano la declamazione ufficiale del fallimento di una classe politica, quella attuale e quella che ha retto le sorti di Firenze negli ultimi venticinque anni, di una classe imprenditoriale, di una classe dirigente e, poiché tutte rispecchiano l’ambiente in cui vivono, di un’intera città e del territorio che la esprime.

PER CHI non ricordasse tutti gli antecedenti, tracciamo un brevissimo riepilogo di quanto accaduto: correva l’anno 1995 quando fu siglato il primo protocollo che dava il via ai lavori del sottoattraversamento ferroviario del capoluogo toscano e si dette il via a progetti e studi di fattibilità. Il 1995, un paio di vite fa. Mitterand era presidente della Francia, Scalfaro al Quirinale, Lamberto Dini a Palazzo Chigi, Bill Clinton al suo primo mandato alla Casa Bianca, Giovanni Paolo II non si era ancora ammalato di Parkinson. Roba che si studia nei manuali di storia. Il tunnel fiorentino poteva partire, in vantaggio su quello di Bologna di cui ancora non si discuteva. Adesso, due vite dopo, con il mondo che nel frattempo è cambiato tre o quattro volte (rivoluzione digitale, internet, globalizzazione, nuove potenze economiche emergenti), con il tunnel di Bologna che funziona, veniamo a sapere che quei lavori iniziati non servono più, che quelle case buttate giù per far posto alla grande opera potevano essere ancora in piedi, che le centinaia di milioni spesi finiranno sepolti nel pezzo di tunnel già scavato e destinato a essere ricoperto. Insomma, scusate tanto, abbiamo scherzato.

E in attesa che parta il conto dei soldi buttati via e, chissà, qualche Corte dei conti finalmente butti là un occhio meno distratto del solito sul grande spreco, la gente si interroga sul destino di un’opera che era stata da tutti descritta come indispensabile.Non siamo esperti di ingegneria civile e dei trasporti e non entriamo nel merito dei singoli progetti, ma crediamo che una cosa di questo genere in un paese normale e in una città che vuole essere «perla del mondo» non possa accadere. Certo, ci saranno motivazioni tecniche che giustificano il ribaltone, ma si sa che gli azzecarbugli in grado di inventare una spiegazione scientifica non mancano mai, ci saranno motivazioni economiche e politiche, ci sarà insomma tutto ciò che deve esserci. Ma latitano la decenza e la responsabilità di fronte alla storia e alla gente. Che si aspetta una classe politica che dia risposte concrete, non si perda in interminabili discussioni e non butti via i milioni di tutti. L’antipolitica nasce da qui, quello che i benpensanti chiamano populismo anche. Ed è inutile poi arrabbiarsi se Grillo sta al trenta per cento. Quando i politici sbagliano, arriva chi li castiga. Anche se poi magari è peggio di loro.