Alluvione, l’onda che cambiò la Storia. Il fango, la distruzione. La rinascita

La battaglia de La Nazione contro le istituzioni assenti di fronte al dramma

Foto d'archivio dell'alluvione del 1966 (Fotocronache Germogli)

Foto d'archivio dell'alluvione del 1966 (Fotocronache Germogli)

Firenze, 4 novembre 2016 - Oggi avremmo usato altre parole. Oggi avremmo parlato di bomba d’acqua, di fenomeni climatici innaturali, di una Natura impazzita per i capricci dell’uomo. Allora eravamo più semplici, e anche le parole lo erano. Così quella mattina del 4 novembre di 50 anni fa, guardando l’acqua marrone e violenta dell’Arno saltare le spallette dei lungarni e da lì ruzzolare con rabbia dentro la città, una sola parola corse di bocca in bocca e tutti la capirono: «Alluvione».

L’alluvione di Firenze del 1966, il più grosso disastro naturale degli ultimi 200 anni che colpì la città e altre aree della Toscana come Grosseto, Pontedera, Empoli, il Valdarno aretino. Una tragedia che segnò per sempre un “prima“ e un “dopo“, come accade con le insurrezioni popolari, con le guerre, con le cose dolorose. Perché prima che l’Arno si facesse lago fradiciando e inumidendo per mesi Firenze, c’era ancora l’Italia leggera del boom economico; l’Italia dalle parole semplici e delle istituzioni lontane e inavvicinabili. Dopo, qualcosa cambiò. Cambiò che una città, per la prima volta dal dopoguerra, si scoprì a fischiare gli uomini di quello Stato che, per giorni, si era dimenticato di Firenze, sottovalutando l’impatto del disastro e lasciando i fiorentini a spalare da soli il fango dalle strade e dalle loro case (ne fece le spese il povero Saragat, uno dei pochi che in quei giorni a Firenze comunque arrivarono: «Presidente benvenuto, ma ci lasci lavorare», lo liquidò l’allora direttore della Biblioteca Nazionale Casamassima).

Cambiò il concetto degli aiuti del dopo disastro, facendoli diventare da spontanei che erano a organizzati (il germe della Protezione Civile di oggi nacque lì). Cambiò, soprattutto l’idea della prossimità, della terra in difficoltà che può essere aiutata solo dalla sua gente. Quando, una settimana dopo l’alluvione, i militari arrivarono finalmente con i mezzi meccanici concessi dal governo per togliere l’enorme mole di fango che imprigionava la città, questi non trovarono solo i fiorentini a spalare ma anche centinaia di ragazzi arrivati fin qui da tutto il mondo. «Gli angeli del fango», come gli ribattezzò un inviato del Corriere della Sera, Giovanni Grazzini.

Ora: chiedersi ancora oggi quale misterioso richiamo abbia smosso le coscienze dei giovani di mezzo mondo, fino a farli prendere sacco a pelo e stivali di gomma e farli arrivare a Firenze nel fango e nel gelo di quel novembre del 1966, resta un mistero. Ma di certo se erano lì era perché le tv e i giornali di mezzo mondo erano andati oltre il silenzio e le renitenze della televisione italiana e di gran parte dei quotidiani nazionali, mostrando per intero il dramma di Firenze (come seppe fare meravigliosamente anche Zeffirelli con un suo documentario passato alla storia). Quelle immagini e quegli articoli commossero quei cuori e quelle coscienze giovani, in una stagione che non era più del «me ne frego», piuttosto dell’«i care», «mi sta a cuore».

Ecco: di ciò questo giornale può andare fiero. Perché nel momento in cui Firenze era avvolta da una cappa di disinformazione e minimizzazione degli eventi (il sindaco Bargellini fu costretto a scrivere una lettera di fuoco all’allora direttore generale della Rai, Bernabei) questo giornale, con coraggio, ingaggiò un vero corpo a corpo mediatico col governo allora guidato da Aldo Moro, riuscendo alla fine a rompere il muro di inefficienza e disorganizzazione edificato dalle istituzioni. E se la città seppe ripartire in un nuovo rinascimento di solidarietà e in un ritrovato fervore economico, un po’ di merito fu anche di questo giornale che, in quei momenti drammatici, fu la voce più limpida e autorevole dei fiorentini e dei toscani. Ricordarlo oggi, a 50 anni esatti di distanza, rende ancora più orgogliosi giornalisti, poligrafici e lettori che, tutti insieme, fanno parte di questa grande famiglia giornalistica chiamata “La Nazione“.