Giovedì 25 Aprile 2024

Per non finire "terra di mezzo"

Tommaso Strambi

Tommaso Strambi

Siena, 14 dicembre 2014 - Non è la prima volta. E non sarà neppure l’ultima. Purtroppo. Eppure è difficile restare indifferenti. Perché quel corpo ripiegato su stesso, alla ricerca di un po’ di tepore, è invece lì, immobile. Irrigidito dal freddo. Davanti a tutti. Su quella poltroncina dove abitualmente ci si siede in attesa del treno. Lui, quarant’anni e forse qualcosa meno, il treno non lo prenderà più. L’ultimo gli è passato davanti agli occhi, mentre il suo cuore si stava per fermare per sempre. In quell’anonima sala d’aspetto della stazione di Chiusi in cui aveva cercato un po’ di conforto. Un attimo di tregua in una vita che si era fatta troppo ingombrante di tante, troppe privazioni. Non un lavoro, non una casa, non un affetto con cui condividere lo svanire dei sogni all’alba di un esistenza di crisi. E, ora, che è lì, raggomitolato su stesso, non può fare a meno di interrogarci.

Anche perché il teatro di questa nuova tragedia della solitudine non è una metropoli. Un luogo infinito in cui ci si sfiora prima di svanire tra milioni di esistenze. No. Qui, siamo nella provincia senese. Quella capace di svettare nelle classifiche della qualità della vita e dove ancora ci si conosce tutti. Anche solo di vista. Non una «terra di mezzo», dove gli immigrati sono solo l’ultimo business su cui investire. In cui il capo di una cooperativa può augurare che il nuovo anno «sia pieno di profughi e sfollati» (dal copyright dell’orrore di Salvatore Buzzi). 

No, siamo in Toscana. La terra dell’accoglienza, della solidarietà delle mille Confraternite della Misericordia e della Pubblica Assistenza. Eppure quel corpo esanime è lì. Irrigidito dal freddo e da una vita che, poco a poco, aveva perso colore. Nessuno se n’è accorto. Se non quando ormai aveva già  esalato l’ultimo respiro. E non basta che ora  una mano pietosa abbia  steso un lenzuolo bianco per  proteggerlo da qualche sguardo indiscreto. La pietas è un atto dovuto beninteso, ma risulta fuori tempo massimo. Morire di freddo in una regione come questa è inammisibile. Intollerabile. Per chiunque. Immigrato o sfollato, licenziato o disoccupato che sia. Poteva accadere cento anni fa, nelle trincee della Prima Grande Guerra o nelle immense campagne di neve della Russia ai tempi della Seconda. Ma non oggi. Non in questa provincia da sempre ospitale e pronta ad accogliere chi cerca una chance per un esistenza dignitosa lontano dalla propria terra troppo avara di opportunità.

Non è il primo. E, forse, non sarà neanche l’ultimo. Ma non possiamo assuefarci come se fosse ineluttabile. Occorre interrogarci per allargare lo sguardo oltre il nostro piccolo egoismo. Perché, altrimenti, il rischio è di trasformarci in una «terra di mezzo» in cui magari non ci sarà Il Nero o Er Cecato, e neppure Buzzi e i suoi accoliti, ma pur un luogo in  cui i vivi stanno sopra e i morti sotto.

Buona domenica.