Il mistero dell'esistenza secondo Sugimoto

Focus sull'artista giapponese a Gaiole e San Gimignano

Hiroshi Sugimoto, "Cinema Teatro Nuovo, San Gimignano 2014" (stampa in gelatina d'argento)

Hiroshi Sugimoto, "Cinema Teatro Nuovo, San Gimignano 2014" (stampa in gelatina d'argento)

San Gimignano, 15 ottobre 2014 - Si intitola “Confession of Zero” ed è una specie di riflessione sul concetto di assenza e sul mistero dell’esistenza che Hiroshi Sugimoto ha creato appositamente per la cappella settecentesca di Villa Ricucci del Castello di Ama a Gaiole in Chianti. Da sabato la collezione di Marco Pallanti e Lorenza Sebasti - appassionati collezionisti e proprietari della tenuta vitivinicola Castello di Ama - si arricchisce di una nuova opera site specific. L'artista giapponese, uno dei più autorevoli interpreti della fotografia contemporanea, va ad aggiungersi agli altri protagonisti di fama internazionale che negli hanno hanno lavorato nel piccolo borgo di origini medievali incastonato tra le colline del Chianti. In collaborazione con la con Galleria Continua di San Gimignano, l'opera di Sugimoto sarà inaugurata sabato mattina alle 11.

Per l'occasione saranno visitabili anche le altre installazioni realizzate ad Ama da Michelangelo Pistoletto, Daniel Buren, Giulio Paolini, Kendell Geers, Anish Kapoor, Chen Zhen, Carlos Garaicoa, Nedko Solakov, Cristina Iglesias, Louise Bourgeois, Ilya e Emilia Kabakov, Pascale Marthine Tayou. Sempre sabato, nel pomeriggio dalle 16 alle 20, alla Galleria Continua, sarà inoltre inaugurata la mostra di Hiroshi Sugimoto con alcune foto inedite della serie “Theaters”. Tra queste anche “Cinema Teatro Nuovo” (2014) che ritrae l’ex-cinema teatro di San Gimignano dove ha sede la galleria. Immagini quasi surreali in cui il tempo che passa, racchiuso a forza in una dimensione che non gli appartiene, si tramuta in luce che scava l'oscurità portando delicatamente a galla gli elementi della scena circostante. Le prime fotografie di questa serie l’artista le realizza a partire dal 1978 scattando foto all'interno di teatri americani degli anni Venti e Trenta convertiti in sale cinematografiche, come il Radio City Music Hall di New York. L’idea è quella di condensare il corso del tempo e la percezione dello spazio in un singolo momento, uniformando il tempo di esposizione a quello della durata della proiezione del film. Così Sugimoto racconta l’illuminazione che lo portò alla creazione di questa serie: “Una sera ebbi una specie di allucinazione. Il botta-e-risposta interiore che seguì questa visione fu una cosa del tipo: "è possibile immortalare un intero film in un singolo fotogramma? E cosa otterrei?"; la risposta fu: "nient'altro che un rettangolo luminoso". Mi misi immediatamente all'opera per materializzare l'idea. Camuffato da turista, entrai in un cinema di seconda categoria dell'East Village di New York portando con me una fotocamera di grande formato. Non appena il film ebbe inizio, azionai l'otturatore con il diaframma alla massima apertura; due ore dopo, alla fine del film, chiusi l'otturatore. La sera stessa sviluppai la pellicola: la mia visione era lì, di fronte ai miei occhi”.