Piccini e l'accusa alla borghesia

L'ex sindaco se la prende con chi vive in modo "parassitario"

Piccini

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Siiena, 30 novembre 2016  - "Stiamo vivacchiando". Pierluigi Piccini lo dice senza troppi fronzoli, frenando solo per un attimo quel fiume di parole che contraddistingue ogni conversazione con lui. D’altronde, la chiacchierata era iniziata con lo stato del Santa Maria della Scala ed era scaturita da alcune riflessioni dell’ex sindaco sul suo blog. Dall’ex spedale a tutto il resto il passo è stato – si fa per dire – breve e ne è nata una lunga riflessione sullo stato della città, le colpe di chi la amministra – e di chi l’ha amministrata – e le prospettive per il futuro. Riavvolgiamo il nastro.

Piccini, le piace la nuova impronta del Santa Maria?

«No, la strada che è stata intrapresa è banale e poco strategica. Si punta solo alla quantità e manca del tutto una visione che faccia del Santa Maria un vero centro polifunzionale, capace di produrre ricerca, nuova economia. Il problema è che abbiamo appaltato la politica culturale della città a un tipo di privato che ha solo una visione quantitativa».

Che si sarebbe dovuto o potuto fare?

«Come minimo coinvolgere l’Università a puntare su un progetto di committenza forte. Perché non può si negare che la vocazione naturale di Siena è quella di fare formazione. Qui entrano in ballo non solo l’ateneo, ma anche la Fondazione, la Banca e tutti gli altri enti come la Chigiana da dover coinvolgere, ma il Comune oggi non svolge il ruolo di coordinatore che dovrebbe avere».

Quindi?

«Quindi siamo al punto che la gestione della cultura è in parte in mano all’assessore, che ha alcune competenze, in parte in mano al sindaco, in parte in mano a un direttore che è poi un dirigente del Comune, in parte in mano ad altri enti. Il tutto senza una strategia o una visione complessiva che non sia quella di un privato che punta solo alla quantità».

Torniamo alla città della formazione.

«E’ l’asse di sviluppo naturale per Siena. Coinvolge l’università, i beni culturali, la ricerca scientifica, i poli formativi di eccellenza come Chigiana e Siena Jazz. Certo, è un progetto che richiede investimenti, capacità e tempi medio lunghi; invece a Siena è stata scelta la via più breve spostando le rendite di posizione dalla finanza alla cultura».

Spieghiamoci meglio.

«C’è una borghesia a Siena parassitaria e verso la quale la politica è subalterna. Una borghesia che adesso sposta le rendite di posizione da quello che era il capitale finanziario al bene culturale. Il problema è che i margini non ci sono più, perché il guadagno che può dare un bene culturale legato al turismo quantitativo è molto basso e non permette di tenere in piedi un economia.

Cosa serve allora per il rilancio?

«Riarticolare l’economia in modo forte e non avere più una monocoltura che è un fatto episodico. Ma l’unica vera salvezza per la città è spezzare questo blocco di potere conservatore e liberare energie nuove per creare veramente dell’innovazione».

Chi è che può rompere questo blocco?

«Non certo il Pd né chi governa la città in questo momento, perché non ne ha la forza né la capacità di comprendere questo fenomeno.

Allora chi?

«Ci sono delle componenti di una borghesia cittadina che ha la necessità di farlo. Bisogna estrarre queste forze, aggregarle e portarle nella consapevolezza della necessità da cui poi deriva una logica di sviluppo. E questo percorso spetterà solo a chi è capace di farlo. Certo, serve una salto di qualità, ma io sono convinto che ci siano le risorse sia le condizioni per farlo».