Siena, 8 maggio 2013 - SE E’ VERO il detto ‘chi la dura, la vince’ staremo a vedere chi avrà la meglio tra Clet Abraham – l’artista che ‘reinterpreta’ i cartelli stradali – e la zelante amministrazione comunale senese nella sua lotta contro il degrado urbano. Il celebre artista, infatti, ha fatto ieri una nuova incursione in città dopo che, un paio di settimane fa, le sue opere – comparse come sempre, in nottata – erano durate poco più di un soffio. Giusto il tempo per qualche foto sui social network e poi via, tutto rimosso. Di certo Siena non aveva dato grande soddisfazione a Clet che, al contrario, piazza da anni le proprie opere di ‘evoluta’ street-art nelle principali città italiane ed europee. Che, solitamente, le apprezzano e le mantengono, in un certo senso fiere di mostrare il segno del suo passaggio. Evidentemente, invece, nella medievale città del Palio nemmeno i segnali stradali si piegano alla modernità: anche stavolta, tutto pulito nello spazio di un amen. Le opere di Clet sono fiorite ieri all’alba – dopo la classica incursione notturna – ma a mezzogiorno già non ve n’era più traccia. L’artista non si è scoraggiato e ne ha piazzate altre due, a sorpresa, in pieno giorno. Ad esempio, all’imbocco di via Salicotto. L’operazione è semplice e rapida: si tratta solo di sovrapporre delle pellicole adesive, sufficienti per dare al segnale un’impronta nuova, ora irriverente, ora romantica, ora maliziosa. Un sorriso tra le pieghe del quotidiano. Un modo semplice e silenzioso per rompere lo schema dell’omologazione.
Clet, perché ha scelto Siena?
«Perché ha un grandissimo patrimonio artistico e culturale, ma si limita a tutelarlo, si riposa su quello; a forza di riposarsi, si arriva allo scenario di oggi – con il Comune commissariato, la crisi del Monte – che, per me, è la dimostrazione dell’incapacità di produrre qualcosa di nuovo e di qualità».
Un paio di settimane fa aveva fatto un’altra incursione, ma con poco successo…
«Era stato tutto rimosso rapidamente. Per questo sono tornato. E tornerò di nuovo, in un modo ancora più marcato; stiamo studiando un piano d’attacco, forse con un intervento fatto durante il giorno, con musicisti, con il pubblico che ci guarda. Per attirare l’attenzione, dire al mondo: ‘In questo momento stiamo facendo questa cosa che è illegale. Voi cosa fate, mi arrestate?’».
In effetti una volta ci è mancato poco
«A Pistoia ho avuto una multa pesante, per imbrattamento, che è un insulto: non hanno nemmeno le competenze per giudicare cosa è ‘imbrattamento’. Per questo la sto contestando; al primo ricorso è già stata molto ridotta. Comunque vada, non la pagherò».
Non le era mai successo prima?
«Mai, questo atteggiamento è tipicamente toscano: la Toscana è molto conservatrice. A Milano, ad esempio, non hanno mai tolto un mio cartello e, anzi, la mia incursione mi ha generato molti contatti di lavoro. A Firenze resistono perché ho insistito, come adesso farò a Siena, ma ci sono voluti molti mesi prima di convincerli che quelle opere aggiungevano qualcosa».
Il suo vuole essere un argomento di dibattito per una città che si candida come Capitale Europea della Cultura 2019?
«Vogliamo vedere se la candidatura è reale. Per adesso è una bufala. Non serve solo fare vedere il Duomo, si sa che è lì; ci interessa piuttosto capire cosa Siena fa oggi. Ad esempio per e con i giovani. I giovani esistono? Il mondo continua a girare anche a Siena? Che cosa produce oggi la città? Queste sono le domande interessanti».
E perché passare dai cartelli stradali, come nasce questo lavoro?
«E’ una combinazione di fattori. C’è la maturità del mestiere, nel disegno, nella capacità di lavorare bene, ad esempio non alterando la funzionalità del cartello. Un’altra componente è la ribellione, la ricerca di libertà: l’artista in qualche modo cerca di liberare il mondo, di rompere gli schemi, allargare i confini. E poi c’è il bisogno di comunicare».
Quando Tony Cragg fu contestato per la sua scultura, disse che i cittadini erano ciechi. Che la gente non vede la modernità fatta di cartelli stradali, insegne luminose e macchine parcheggiate, limitandosi a polemizzare sulle opere d’arte. Accade anche a lei, perché?
«Perché c’è un contenuto in quello che faccio: creo una provocazione, metto in discussione l’autorità. Vado a dimostrare pubblicamente che l’autorità, soprattutto nei piccoli centri, non riesce ad accettarmi. Il potere cerca di proteggere se stesso. Si autoalimenta. L’autorità è più interessata a proteggere il proprio ruolo che a servire i cittadini e, così, io lo dimostro».