Siena, 27 maggio 2011 - «POSSO dire di conoscere tutte le mie viti». La certezza sta nei suoi 27 anni ma soprattutto nella passione che ha guidato dieci anni fa la coraggiosa scelta. Protagonista della storia odierna è Francesco Mulinari, ilcinese che, dopo il diploma all’istituto agrario ha deciso di sposare la sua filosofia di vita: tornare alle origini e coltivare la terra. «Il risultato, oggi, è una soddisfazione enorme — dice —: lavoro all’aria aperta, seguo quotidianamente la crescita delle viti, il cambiamento delle stagioni. E ogni anno è una sfida diversa: contro gli agenti atmosferici e con un lavoro fatto su qualcosa di vivo, la vite e l’uva».
La storia ha inizio con quel piccolo terreno, appena mille metri quadrati, a ridosso delle mura di Montalcino che la famiglia Mulinari, residente nel centro del paese, acquista una quidicina di anni fa per passare la domenica in campagna: «Da piccolo — racconta — mi sentivo fortunato per vivere in un paese così noto al mondo, per il Brunello naturalmente. Da ragazzino con il babbo provavamo a fare il vino proprio in questo piccolo terreno. In quinta superiore, avevo 17 anni, decisi di vinificare la terra: dalla prima vendemmia ho ricavato 720 bottiglie di Brunello (oggi sono 3mila). Appena diplomato, nel 2004, ho preso un mutuo, per me enorme, trentennale, per acquistare i terreni dei miei, fare la vigna, una cantina. Poi mi sono allargato con un’altra proprietà a Castelnuovo dell’Abate: oggi ho un ettaro di terra, a vigneto, che curo da solo: la lavoro, faccio il vino, l’imbottigliamento e la commercializzazione».
 

 

Ecco la scelta, coraggiosa per noi, «un po’ incosciente» secondo Francesco, impegnato a tempo pieno in un’attività, l’azienda agricola «L’Aietta», sua in tutto per tutto, ma non da tutti. «Dopo l’agrario — continua — ho iniziato l’università, enologia, ma, pur mancandomi solo 9 esami, oggi non ho più tempo per studiare e poi quella scuola non mi ha dato gli stimoli che invece sono venuti dalla terra. I miei genitori? Nessuno viene dall’agricoltura (uno lavora in banca, l’altro in Provincia) ma mi hanno supportato in tutto: scelta, denaro e aiuto. Sono passati 10 anni e se la passione di prima, di sempre, l’hanno condivisa mamma e babbo, oggi quella stessa l’ha sposata anche la mia compagna Serena, che con pazienza sopporta i miei tempi e i tanti impegni».
Una scelta di vita in controtendenza con quelle più facili dei coetanei, ma che solo la gioventù forse può sposare: «Credo che con passione un giovane possa fare qualsiasi cosa — dice Francesco —. I dati dicono che oggi le aziende agricole gestite dai figli fanno un 40% di reddito in più di quelle dei padri: i giovani hanno più incoscienza, originalità, destrezza nell’uso delle tecnologie e predisposizione all’innovazione». E Francesco oltreché incosciente è sicuramente innovativo:

 

«La terra iniziale — racconta ancora — è quella della piccola aia (di qui l’Aietta), un’ottantina di metri, a ridosso delle mura di Moltalcino in cui fino a 40 anni fa il paese veniva a ballare dopo il veglione di carnevale. Qui c’erano ulivi disposti in terrazzamenti stretti e lunghi, difficili da ‘addomesticare’: io ho tolto gli ulivi, vi ho messo le viti, ma mantenuto i terrazzamenti, anche se lavorarli con un trattore è duro. Molte cose le faccio a mano. E così ho impiantato vigne ‘ad alberello’, tipiche di Pantelleria. Una coltivazione insomma non toscana, anche perchè di bassissima resa, ma di grande qualità. Se i più pensano che io sia ‘pazzo’ nella mia impresa di coltivare le terrazze, è anche vero che quando qualcuno viene a vedere l’Aietta rimane a bocca aperta: questa la soddisfazione della mia incoscienza». Ma perchè un giovane dovrebbe sposare una vita così incerta e dura? «Perché dell’Italia si può copiare tutto, ma non il territorio: abbiamo una ricchezza che è solo un peccato non utilizzare».