Siena, 23 ottobre 2010 - SEMBRAVA una provocazione senza conseguenze. Un appello destinato a cadere nel vuoto. Ma Gabriele Viti, 35enne disabile che vive a Cortona dove è stato assessore comunale alla cultura, faceva sul serio quando ci ha parlato della sua volontà di offrire il proprio seme «a tutte le coppie lesbiche che non possono andare all’estero per avere un figlio».

 


A quattro mesi dalla pubblicazione di quell’annuncio sul sito www.vogliamounfiglio.org, qualcuno gli ha risposto. Una coppia di donne, Valeria e Diana (nomi di fantasia per tutelarne la privacy ndr), che stanno insieme da tre anni ed hanno un sogno: diventare madri. Non attraverso la procreazione medicalmente assistita per i limiti imposti in Italia, dalla Legge 40 che vieta la fecondazione eterologa, con ricorso a seme o ovuli esterni alla coppia, né con un viaggio della speranza, come migranti in esili forzati verso centri specializzati europei, dove esistono protocolli rigorosi ma anche lunghi e costosi. Ma semplicemente, secondo natura. Per avere un figlio, non a tutti i costi, ma a costo zero: perché la generosità non ha prezzo e non si può comprare. Proprio mentre una sentenza del Tribunale di Firenze, rimanda alla Consulta la decisione finale sulla costituzionalità o l’incostituzionalità dell’art.4 relativo alla fecondazione eterologa, riaprendo la discussione sulla Legge 40 che regola la procreazione medicalmente assistita, Valeria e Diana scelgono di rendere pubblica la loro storia.
 

 

State cercando di avere un figlio e non è un’emozione da poco…
«Non lo è, infatti, perché un figlio è la cosa più grande e più bella che ci possa essere nella vita di ognuno e quindi speriamo che questo bambino possa venire alla luce prima o poi».


State insieme da più di tre anni, quando è nato dentro di voi il desiderio e poi il progetto di un figlio e come siete arrivate a Gabriele?
«Il desiderio di avere un figlio è stato sempre dentro di noi, purtroppo in Italia la Legge 40 vieta alle coppie dello stesso sesso l’accesso alla procreazione medicalmente assistita. Ecco perché quando abbiamo letto dell’appello di Gabriele, non ci abbiamo pensato un attimo, gli abbiamo scritto una mail e per fortuna ci ha risposto».
 

Avete mai avuto dubbi sul percorso intrapreso?
«Sì, qualche volta sì, non lo nego. E’ un percorso difficile e quello che ci sta intorno sicuramente influisce sullo stato d’animo che abbiamo nel portalo avanti».
 

La disabilità di Gabriele vi ha mai creato problemi? Avevate pregiudizi o paure per la salute di un eventuale bambino?
«Nessun pregiudizio, non abbiamo pensato alla disabilità di Gabriele come un handicap o un fattore di rischio per il figlio che speriamo arrivi. Sappiamo che Gabriele è sano e per noi non è diverso dagli altri».
 

Avete mai preso in considerazione con Gabriele l’ipotesi di una sua presenza, seppur limitata, nella vita del bambino?
«Ne abbiamo parlato diverse volte. E’ una soluzione che valuteremo quando poi sarà il momento».
 

Pensando per un attimo al futuro. Vi spaventa la società in cui potrebbe crescere un vostro eventuale figlio o l’idea che possa voler sapere chi è il padre? E in quel caso glielo direste?
«La società in cui viviamo è bigotta. Noi però abbiamo le spalle larghe e sapremo dare a nostro figlio le giuste indicazioni e tutto l’amore che serve ad un bambino, per diventare da adulto un uomo o una donna con dei sani principi. Dirgli di Gabriele? Non so, anche in questo caso, è troppo presto per dirlo. Forse quando sarà grande, oltre la maggiore età, riaffronteremo l’argomento, valuteremo questa opportunità».
 

 

Molte coppie di donne, per avere un figlio hanno scelto di andare all’estero. Perché voi no?
«Non abbiamo preso in considerazione l’ipotesi di andare all’estero, anche se ci siamo molto documentate al riguardo, perché è una strada lunga e i costi per noi sono proibitivi. Siamo state più fortunate di altri perché grazie alla generosità di Gabriele, non abbiamo dovuto rinunciare al nostro desiderio di maternità e stiamo provando a realizzare il nostro sogno»