Una battaglia mediatica

Il commento - di Francesco Meucci

Francesco Meucci

Francesco Meucci

Siena, 1 luglio 2015 - Il Palio di nuovo sotto attacco. Succede puntualmente ogni volta che un cavallo si fa male in Piazza. Ma di tutto quanto scritto e sentito in questi giorni, quel che stupisce di più è come mai anno dopo anno la schiera dei cosiddetti «animalisti» trovi sempre nuovi adepti pronti a lanciarsi contro i senesi e la loro Festa senza, evidentemente, neanche sapere di che si parla. Chi scrive, come immaginiamo chi legge, ha a cuore le sorte degli animali quasi al pari di quelle degli esseri umani. Perciò, pur avendo le radici altrove, riconosce a Siena un primato assoluto nel trattamento dei cavalli.

Basta aver frequentato un qualsiasi ippodromo – e ci fermiamo qui – per capire che oltre alla cure e alle attenzioni, a Siena è diverso il come si vive il cavallo. Certo, mettendoci nei panni degli animalisti, ci rendiamo conto di come l’attaccare il Palio sia una ghiotta occasione per portare le proprie ragioni (per alcuni versi e senza eccessi anche condivisibili) all’attenzione di un pubblico vastissimo.

Tutte le battaglie di civiltà sono state vinte a partire da un simbolo, quella degli animalisti non fa eccezione ed è ormai chiaro come Siena e il Palio siano stati scelti per la loro capacità di fare audience. Basta, finisce qui. Non c’è altra ragione per attaccare il Palio se non quella di fare clamore. Anzi, se lo permettono, agli animalisti suggeriamo di battere altrove perché il sentimento attorno alla festa – ampio e condiviso ben oltre le mura senesi – parte dalla sorta di venerazione per il cavallo che c’è da queste parti. Inutile rielencare i moltissimi interventi in tal senso, basterà ricordare quello lapidario di Oriana Fallaci: «Voglio rinascere cavalla a Siena».

Ai senesi, soprattutto a quelli che hanno in mano le chiavi della festa, però, un paio di appunti vanno fatti. Primo non devono mollare di un centimetro l’attenzione che hanno verso la salute dei cavalli. Secondo devono capire di doversi difendere da chi cerca clamore; per essere chiari: è una battaglia mediatica prima che di contenuti e come tale va combattuta.