Tengono aperte le chiese, tifano Juve e adorano la pasta

Viaggio nella struttura di Castellina Scalo che ospita i migranti arrivati con i barconi

MIgranti ospitati a Castellina Scalo (Foto Lazzeroni)

MIgranti ospitati a Castellina Scalo (Foto Lazzeroni)

Siena, 24 aprile 2015 - SENTE pronunciare la parola basket e riesce a sorridere. I denti bianchi illuminano il giovane volto, dove gli occhi tradiscono un velo di tristezza. Il Gambia è lontano ma resta nel suo cuore. Anche se a Castellina Scalo, a due passi dalla chiesa, in quell’albergo diventato la nuova casa, ricomincia a vivere.

Venti anni sono pochi per raggiungere la Libia e avventurarsi verso l’Italia su uno dei barconi che hanno seminato la morte nel Mediterraneo. Lui invece ce l’ha fatta a salvarsi anche se dovrà convivere con le ferite a una gamba.

DI QUELLO non vuole parlare Karamo. Migrante. Profugo. ‘Richiedente’ asilo politico. Uno degli extracomunitari fuggiti dal proprio Paese che raggiungono la Sicilia via Libia.

«Un bravo ragazzo, come gli altri 11 che sono ospiti della struttura», racconta Nicola Peirce, il braccio destro di don Doriano, presidente dell’Associazione «Don Luigi Profeti» che si occupa di questi giovani in fuga dall’orrore e dalla fame. In cerca di speranza.

L’albergo all’incrocio della strada, a lato della parrocchia, è adesso il loro rifugio. Nella stanza comune, dove c’è la televisione, c’è Jude, detto ‘Ge-Ge’. «Vengo dalla Nigeria», dice in inglese. E aggiunge: «Riesco a capire l’italiano, ma lo parlo poco». Ha 21 anni, anche lui è giunto in Italia-via Libia.

«E’ stata molto difficile la traversata – racconta guardando il giardino che incornicia la struttura di accoglienza –, è durata cinque giorni». Non una parola di più. Ferita fresca. Chissà mai se si rimarginerà.

«Vorrei restare qui, studiare e magari lavorare». Il pranzo viene fatto da un catering locale e portato direttamente in contenitori nella sala al piano di sopra. «Fish, rice, very good. Pasta? Sì, pasta ok», racconta Karamo, il giovane del Gambia. «Trascorrere tutta la giornata senza poter fare niente – si inserisce Peirce – è dura. Così li abbiamo fatti diventare soci di ‘Migranti San Francesco’ in modo che sono assicurati e possono tenere aperta Abbadia a Isola e Monteriggioni».

MIRACOLI di una integrazione possibile: lui è di fede musulmana e va ogni venerdì a pregare a Colle, nel corso della settimana consente invece la fruibilità di una chiesa. Quando gli si chiede di don Doriano, cambia espressione: «Viene, parla con noi, è vicino alle nostre necessità. Una sorta di grande padre», si sbilancia. Arrivano anche gli altri ospiti del rifugio. La macchina del fotografo, i volti nuovi sono (forse) un’attrazione. Ma a fare da collante è soprattutto lo sport. Karamo è tifoso della Juventus, gioca a calcio. «A Ponte a Bozzone era stato organizzato un torneo di squadre dilettantistiche a cui era iscritta anche la ‘Migrantes’. Ne facevano parte loro e altri ospiti delle strutture. Pensa che avevano vinto sempre e hanno perso proprio la finale», scherza Nicola Peirce. Mostrano orgogliosi la foto di gruppo. C’è anche un minorenne fra i 12 richiedenti asilo politico che arrivano, oltre che dal Gambia, da Nigeria, Ghana e Guinea Bissau. Niente genitori, niente parenti. Solo al mondo. Ma a migliaia di chilometri da casa. Però è vivo.