Caso Maratonina, il racconto della seconda: "L'ho fatto con il cuore, non meritavo di arrivare prima"

La Chebitok, che vive a Siena, aveva fermato la corsa per far sì che la sua avversaria si riprendesse dai crampi che l'avevano colta sul traguardo / HA I CRAMPI SUL TRAGUARDO, LA SECONDA ASPETTA E LA LASCIA VINCERE / LA FOTOSEQUENZA DEL "DRAMMA" ALL'ARRIVO

La seconda classificata alla Maratonina (foto Regalami un sorriso onlus)

La seconda classificata alla Maratonina (foto Regalami un sorriso onlus)

Siena, 23 marzo 2015 - Se la vincitrice parla poco l’italiano, la seconda classificata non lo parla affatto. Per fortuna c’è il suo manager, Enrico Dionisi, personaggio conosciutissimo nel mondo dell’atletica leggera italiana, e superare gli ostacoli linguistici diventa più facile anche per chi non mastica l’inglese. «I did it with my heart, l’ho fatto con il cuore – spiega la ragazza keniota –. Non ci ho pensato, non sono stata a rifletterci sopra: fermarmi è stato un gesto che mi è venuto spontaneo. Non me la sono sentita di approfittare del dramma di Claudette per prendere una vittoria che lei aveva meritato più di me».

Era una decina di metri dietro la Mukasakindi, Ruth, quando ha visto la collega fermarsi improvvisamente, bloccata da un dolore lancinante e incapace di fare un altro passo. «Sì, ero ad una decina di metri da lei che, durante la gara, mi aveva prima raggiunto e poi superato: dentro di me ho sentito che aveva vinto lei e che non sarebbe stato giusto se a tagliare per prima il traguardo fossi stata io. Così mi sono fermata anche io per darle il modo di arrivare per prima a prendere la vittoria che si meritava. E’ stata una cosa di cuore, l’ho fatto con il cuore».

E quelle mani a coprirsi il volto subito dopo aver tagliato il traguardo? «Un bellissimo gesto di pudore, di timidezza – stavolta è il manager Dionisi a rispondere –. Immaginava che con la sua rinuncia sarebbe diventata lei la protagonista della giornata e quasi se ne vergognava. E a me viene spontanea una riflessione: in Italia si parla tanto, e giustamente, di fair play, ma troppe volte vediamo scene che ci dimostrano come la cavalleria sportiva e il rispetto dell’avversario siano spesso parole vuote. Questo bellissimo episodio, invece, ci mostra una realtà diversa, in cui a dare l’esempio sono due donne straniere, immigrate come tante altre persone».

A.V .