La Spezia, 27 novembre 2012 - PER CARITA’ nessuno vuole dare una lettura del voto in chiave territoriale. In fondo — questo il commento unanime raccolto tra i supporter degli schieramenti — si trattava «soltanto» di scegliere il prossimo candidato premier. Quindi niente beghe condominiali o declinazioni localistiche. Una sana iniezione di ecumenismo, che non fa male a nessuno. Ma siccome l’esperienza qualcosa insegna è difficile immaginare che il risultato del voto di domenica scorsa non contribuisca a ridisegnare gli equilibri politici del centrosinistra spezzino, anche alla luce dei tatticismi che già covano nel braciere preparato per il rinnovo del Parlamento. Questa settimana sarà decisiva per le future alleanze. E se i bersaniani, forti del loro 49,99% potranno prendersi il «lusso» di raccogliere il seminato, i renziani probabilmente saranno chiamati a spingere il piede sull’acceleratore della propaganda. Per strappare qualche consenso alla rosa degli indecisi, magari appoggiandosi a quella «libertà di coscienza» che è l’indicazione emersa, tanto per fare un esempio, tra i sostenitori di Laura Puppato. Anche i vendoliani, che alla Spezia hanno pagato il prezzo di una macchina organizzativa messa in piedi in poche settimane e incapace di coprire per intero il territorio, resteranno per il momento «sulla soglia», anche se più sbilanciati a favore del segretario del Pd. Idem per chi ha sostenuto la linea di Bruno Tabacci.

 

Sicuramente il dato che emerge con maggior chiarezza dall’analisi del voto è la netta affermazione dei renziani sul versante della Val di Magra. Il feudo bersaniano ha retto sul capoluogo, forte del sostegno delle due tradizionali «anime» del Pd, quella ‘orlandiana’ e la ‘paitiana’: la prima più compatta, la seconda alleggerita dallo scollamento di alcuni fedelissimi come Corrado Mori e Jacopo Tartarini.
 

TRASVERSALMENTE ha vinto, nonostante le novità di una massiccia partecipazione della società civile, il fronte del «professionismo» politico, quello degli uomini e delle donne cresciuti in seno al partito e che, magari parlando di smantellamento della nomenklatura, hanno comunque dettato il passo della campagna elettorale. Infatti l’exploit dei filorenziani a Sarzana e dintorni non si spiega se non in riferimento alla massiccia mobilitazione di veri «professionisti» della politica, dal consigliere regionale Alessio Cavarra, al sindaco di Santo Stefano Juri Mazzanti, al responsabile provinciale dell’organizzazione del Pd, Juri Michelucci. Dove i toni della controparte bersaniana sono stati più soft, vedi il caso emblematico di Sarzana, gli uomini di Renzi hanno preso campo. Gettando almeno apparentemente un cono d’ombra su storiche figure come quella di Massimo Caleo, Lorenzo Forcieri, Renzo Guccinelli. E puntando i riflettori sul ‘rottamatore’ Cavarra, che dalla scommessa delle primarie esce sicuramente rafforzato, al punto tale che molti già lo indicano come futuro primo cittadino. Quanto queste proiezioni corrispondano ai reali equilibri politici non è dato sapere. Anche perché i protagonisti rifiutano categoricamente una lettura in chiave territoriale del voto. Caleo, che ha fatto atto di presenza anche alla convention sarzanese del sindaco di Firenze, respinge l’etichetta di esponente della nomenklatura: «Ho il mio lavoro, sono un dipendente dello Stato, ho vinto una cattedra con regolare concorso». «Le primarie — aggiunge — sono state una grande dimostrazione di democrazia partecipativa. Ho sostenuto Bersani motivando questa scelta su questioni meramente di competenza e visione politica, senza nessun risvolto tattico o peggio di opportunità personale. Ho profuso il mio impegno per valorizzare la figura del segretario evitando polemiche con gli altri competitor, invi compreso il collega Renzi, di cui riconosco l’energia e l’aver messo in discussione, magari con toni non appropriati, il tema dell’innovazione. Si sta solo decidendo per il candidato premier. Qualsiasi tentativo di allargare il significato della competizione è sbagliato». Anche Forcieri si smarca da letture frettolose. «Assistiamo a un risultato molto positivo: la straordinaria partecipazione dei cittadini alle primarie del Pd, che segna un importante, anche se non decisivo, passo verso la ricomposizione con la società civile. Leggere i risultati come se si trattasse di una sorta di congresso anticipato è sbagliato e fuorviante, indice di una mentalità vecchia, legata a beghe territoriali e logiche correntizie che proprio le primarie hanno dimostrato essere superate. Sostengo lo strumento delle primarie anche per la scelta dei candidati al Parlamento, unico sistema per ridimensionare gli effetti del ‘porcellum’».

Sarà. Ma il tema delle candidature alle prossime politiche è quanto mai attuale, anche alla luce degli equilibri che la votazione di domenica ha consegnato. E i tatticismi in qualche modo potrebbero tornare di moda. Da più parti arrivano pressioni perché si creino le condizioni che consentano alla provincia di esprimere una seconda candidatura, oltre a quella ‘blindata’ di Andrea Orlando. E i giochi, su questo fronte, sono aperti. In ballo c’è lo stesso Forcieri, nell’ipotesi in cui il secondo mandato alla guida dell’Autorità portuale dovesse sfumare. Ma non si possono escludere colpi di scena. «Qualsiasi valutazione — ammette il renziano Cavarra — è prematura. Non si sa ancora se ci saranno le primarie e con quale legge elettorale andremo al voto. Sicuramente la nostra provincia deve avere più peso a livello regionale, abbiamo già dato con candidati catapultati dall’alto. E siamo in condizioni di rivendicare un’altra figura, oltre a quella di Orlando. Sono sicuro che Sarzana non si farà scappare l’occasione per tornare ad avere un suo parlamentare. E di fronte a questi scenari sapremo ricompattarci».
Roberta Della Maggesa