L'omicidio di Sarzana, Iemma: "Volevo solo spaventarla, è partito uno sparo..."

L'imprenditore edile ha vagato per Massa prima di costituirsi. La difesa pensa al rito abbreviato L'INTERROGATORIO IN CARCERE / IEMMA SI COSTITUISCE/LA CACCIA ALL'UOMO / IL DELITTO: LE FOTO / IL GIORNO DOPO IL DELITTO, I VICINI DI CASA: FOTO

Antonietta Romeo e Salvatore Iemma col figlio Salvatore e la sua compagna in un momento felice

Antonietta Romeo e Salvatore Iemma col figlio Salvatore e la sua compagna in un momento felice

Sarzana, 17 agosto 2014 - OMICIDIO volontario premeditato, con le aggravanti della crudeltà, dei motivi futili e abbietti (la gelosia) e del legame coniugale con la vittima. Questa l’imputazione da ergastolo contestata dal pm Luca Monteverde a Salvatore Iemma sulla scorta delle prime emergenze investigative frutto del lavoro no-stop dei carabinieri; c’è poi il reato satellite di porto abusido di arma, quella che l’omicida (strano ma vero) poteva custodire in casa e che ora non si trova: una calibro 38. Di fronte a questo macigno processuale l’avvocato difensore Andrea Guastini già medita il rito abbreviato (mirando allo sconto di un terzo della pena) anche a fronte dell’eventuale giudizio immediato col quale la pubblica accusa, secondo quanto trapela, intenderebbe chiudere il caso, stante le evidenze probatorie. Inutile dire che la difesa miri a smontare l’elemento-cardine che, se certificato in sede processuale, relegherebbe Iemma per tutta la vita dietro le sbarre: la premeditazione. «Volevo spaventare Antonietta ma non ucciderla. E’ partito un colpo, ma non era mia intenzione ammazzarla....Ha avuto un corto circuito nella testa», questa la sintesi dell’approccio difensivo alla contestazione che diversamente, invece, si allarga la brutalità dell’azione omicidiaria al contesto choc in cui è maturata: nella camera del figlio di 16 anni, con lui ad una manciata di passi dai genitori.

«Se avessi saputo che c’era il ragazzo in casa nemmeno avrei tirato fuori la pistola» ha detto l’indagato ieri nell’interrogatorio di garanzia reso davanti al gip Marta Perazzo, presente il pm Luca Monterverde nel carcere di Massa. Cinquanta minuti di botta e risposta, preceduti da dichiarazioni spontanee nelle quali Iemma he evidenziato il suo stato di prostrazione e il pensiero che lo assilla: il futuro dei figli, privati della mamma e del papà che la uccisa.  Il movente dell’omicidio o, visto con gli occhi della difesa, dell’irruzione della casa di via Turi degenerata nel delitto? Un mix di ragioni: il diniego a finire davanti ai giudici per la causa di separazione, le liti di natura economica riguardanti il mantenimento dei figli, la convinzione che la moglie non trattasse con le adeguate premure il figlio più piccolo e, non ultimo, la gelosia. Salvatore sospettava che Antonietta stesse coltivando una relazione con un altro uomo. Tutti questi argomenti sono stati al centro della telefonata che Salvatore fece ad Antonietta nella serata del 13 agosto.

E’ in quel contesto che sarebbe maturata la furia umana che, attorno alle 23, lo ha reso l’assassino di una donna indifesa, che voleva rifarsi una vita, dopo i tormenti di un matrimonio fallito, di un legame diventato solo formale e trascinatosi per troppo tempo, nell’ipocrisia. Il pm ha chiesto a Iemma se in passato avesse picchiato la moglie. Lui: «Fu solo una spinta, lei volle andare all’ospedale». Ma non lo denunciò. Iemma ha ammesso di aver pensato al suicidio, dopo essersi reso conto che aver ucciso la moglie. «Ci ho pensato per 24 ore. Non sapevo decidermi: farla finita o costituirmi in carcere. Subito dopo la tragedia ho raggiunto con l’auto la zona della casa circondariale di Massa l’ho parcheggiata, per poi vagare in stato confusionale». Alle 17 la telefonata all’avvocato Guastini.