L'architetto si è tolto la vita, il caso è chiuso

Ha usato la pistola del padre

L'architetto con la moglie

L'architetto con la moglie

Sarzana (La Spezia), 25 ottobre 2017 - "Se dovesse sentire tutti questi discorsi si farebbe una risata dall’aldilà", aveva detto la moglie Prisca mentre ancora sulla città gravava l’ombra inquietante di un misterioso assassino. A chi ha potuto conoscere solo il lato ‘buffonesco’ dell’architetto Giuseppe Stefano Di Negro può sembrare di sentirla davvero, quella risata. E’ ufficialmente chiuso il ‘caso’ del cinquantenne professionista sarzanese trovato morto sabato notte lungo il greto di un torrente alle porte della città: si è ucciso con il vecchio revolver del padre. Per la giustizia resta aperto solo il fascicolo con il nome dei due diciannovenni spezzini che lo hanno trovato, hanno chiamato il 118, seguendo le indicazioni gli hanno fatto il massaggio cardiaco, hanno frugato nel suo marsupio per cercare il nome e, già che c’erano, si sono presi 70 euro, poi anche la pistola per farci qualche soldo.

In pochi minuti hanno inanellato una serie di azioni grottesche trasformando un suicidio in un possibile delitto e l’ultimo approdo di un uomo disperato nella scena di un crimine. I soldi li hanno riconsegnati alla polizia quasi subito, la mattina di domenica quando gli investigatori li hanno messi alle strette. A fornire la chiave per chiudere il cerchio e aprire l’ultima loro barriera ci ha pensato il medico legale quando ha trovato conficcato nel cranio del professionista il proiettile calibro 38: corrispondeva alla pistola che non si trovava più nella casa dell’anziano padre.

Una storia diventata grottesca quando l’umanità confusa dei due diciannovenni ha incrociato quella tormentata di Stefano Di Negro e, manipolando la scena, ha alzato un sipario che avebbe dovuto rimanere abbassato. Sono già liberi, in sospeso con la giustizia il conto delle accuse di furto, porto abusivo e simulazione. Liberi di tornare ai margini della società, oppure di dare alla loro vita l’occasione di cambiare rotta.

"C’era quella macchina aperta, abbiamo acceso la pila dei telefonini e abbiamo visto una gamba, poi il corpo", hanno raccontato senza far trasparire emozioni. Ma hanno chiamato il 118, precisi hanno seguito le indicazioni dell’operatore pur sospettando che fosse già morto, dimostrando che un germoglio di umanità è rimasto nella confusione dei loro valori. Molto più forte, forse, di chi ha filmato l’agonia di un uomo in Romagna e l’ha buttata sui social delegando alla rete l’onere di chiamare i soccorsi.

"Ci hanno chiesto chi era, ma come potevamo saperlo? – continuano il loro racconto – allora ci hanno detto di guardare nel marsupio, c’erano quei soldi...». E la pistola per loro è stata una tentazione irresistibile. Ma quel vecchio revolver non è mai stato troppo lontano dal luogo del presunto crimine: l’hanno subito nascosta tra i rovi, a pochi metri da quello che per loro era solo un corpo senza vita. Poi sono tornati a prenderla nelle ore successive, giusto il tempo di guardarla, di far cadere i proiettili e nasconderla un po’ più distante. Nel punto esatto dove hanno guidato gli investigatori quando non hanno più potuto continuare a mentire.

Il dubbio che potessero aver sparato loro è svanito nel momento in cui l’autopsia ha svelato che la ferita sul cuoio capelluto dell’architetto l’aveva provocata il proiettile entrato dalla bocca e incastrato nell’osso, che sul suo corpo non c’era neppure un segno di violenza, e l’esame ‘stub’ ha confermato.