Sarzana, 10 ottobre 2013 - Il caso è riassunto in poche pagine del libro di Marco Rovelli e Moni Ovadia "La meravigliosa vita di Jovica Jovic". Un episodio ma centrale nella vita del grande musicista rom "che ancora parla di lui ancora scoppia in lacrime", racconta Marco Rovelli.

Ed è proprio quel caso, archiviato per la magistratura ma mai archiviato per il padre, che porterà tutte e tre a Sarzana mercoledì prossimo nel primo appuntamento del progetto "La città che sarà" dedicato proprio all’integrazione: prima in municipio per presentare il libro, poi al teatro Impavidi per lo spettacolo e il mattino dopo al liceo per parlare con gli studenti.

Ma la speranza di Jovica Jovic, Marco Rovelli e Moni Ovadia, è che sia l’occasione per riaprire il caso, magari non dal punto di vista giudiziario ma almeno da quello umano. Perché loro sono sicuri: la vita di Danijel e la sua morte a 11 anni, ufficialmente annegato in una pozza d’acqua del Magra, non parla di integrazione. "C’era un pescatore, forse altri testimoni, chi all’epoca indagò, c’era un ragazzo con lui che non è stato più trovato - spiega Marco Rovelli, nato a Massa ma arrivato lontano con la sua scrittura e la sua musica - L’idea è di lanciare un appello a chiunque sappia. Speriamo che sia arrivato il momento di trovare qualcuno che ci racconti quello che sa". E l’occasione è l’appuntamento di Sarzana dove si parlerà di integrazione nel momento cui la città si divide sull’ordinanza del Comune per sequestrare ai rom i camper in cui vivono.

Una storia cupa quella di Jovic, della sua famiglia e di suo figlio Danijel, che parla di fughe, sgomberi, clandestinità, burocrazia e misteri. Danijel era nato e cresciuto in Italia, suo padre Jovica suonava ovunque in giro per l’Europa. La moglie e i figli "erano nel campo rom di Muggiano, alle porte di Milano - si legge nel libro -. Vivevano in una baracca costruita da Jovica, si mantenevano un po’ con i soldi che gli mandava e un po’ grazie alla famiglia di Angelina. I figli in Austria e in Inghilterra avevano avuto un permesso di soggiorno, e la possibilità di ricominciare una vita, e di aprire un’attività. Per quelli in Italia c’era solo una baracca".

Dopo il primo sgombero arrivò il secondo e la moglie raggiunse a Spezia i genitori malati. Il 7 luglio 1995 la tragedia si presentò con le divise di due carabinieri che bussarono alla loro casa e annunciarono la morte del figlio di 11 anni. Annegamento, dissero, e raccontarono che aveva le tasche piene di oro rubato in una casa vicino, lì sul fiume al confine fra Ceparana e Albiano. "Ma Jovica vide in caserma un uomo che aveva l’aria stravolta. A Jovica pareva che volesse avvicinarglisi, dirgli qualcosa. Era un pescatore, era là al fiume, aveva certamente visto qualcosa, per essere così stravolto" si legge ancora.

Jovica ha sempre creduto che la verità gli fosse stata nascosta. Andò al fiume, seguì le tracce delle scarpe di Danjiel che, racconta, "a un certo punto si fermavano, e vicino c’erano le impronte di due stivali. Poi si vedevano tracce di trascinamento al fiume e tanti ramoscelli spaccati: Jovica era certo che fossero le mani di Danjiel che tentava di salvarsi".

Secondo il suo racconto "aveva il collo spezzato, un goccio d’acqua nei polmoni e sotto alle unghie erba e terra". Ma le indagini si chiusero con la morte per annegamento e da allora Jovica continua a credere che sia stato ucciso. "Sono passati vent’anni, ma chissà che qualcosa non possa tornare fuori in questo caso archiviato come incidente e che invece, con ogni probabilità non lo fu - dice Rovelli -. Mi immagino qualcuno che decise di dare una lezione al piccolo Danijel, e a forza di botte, per dirla col poeta, gli prese l’anima"

 

di Emanuela Rosi