I mille capolavori della collezione Lia. Lungo viaggio tra le pieghe delle tele

Il direttore Andrea Marmori illustra i primi vent'anni del museo

Andrea Marmori

Andrea Marmori

Sarzana, 8 luglio 2016 - “UN GIORNO presso un antiquario vidi un’opera che mi piaceva. Allora capivo poco o nulla di arte, ma quell’opera mi attirava e la comprai. Iniziò così una passione che finì per coinvolgermi sempre più”. Lo raccontava spesso Amedeo Lia come cominciò la sua incredibile avventura nel mondo dell’arte e dei grandi capolavori di cui, nel volgere di pochi anni, diventò collezionista competente e illuminato. Ognuna delle circa mille opere custodite nello scrigno di via Prione offrirebbe probabilmente una storia da raccontare, uno spunto su cui soffermarsi per scoprire aspetti inediti nella storia di Lia e dei suoi capolavori. Da dove cominciare, allora, volendo parlare - vent’anni dopo - del Museo Lia e delle sue opere in qualche modo più rappresentative?

LO ABBIAMO chiesto al direttore Andrea Marmori, che il Lia ha visto nascere e ne ha, negli anni, proficuamente allargato gli orizzonti non solo culturali. Di fronte a un’offerta espositiva così ampia e variegata, che spazia dall’epoca classica al tardo antico, dal Medioevo all’età moderna, è difficile, forse impossibile, scegliere cosa merita più attenzione e perché. C’è però un gruppo di opere che hanno un fascino e un valore indiscutibili. Marmori vi ha dedicato un ampio studio: sono i ritratti conservati nella sezione museale dedicata ai dipinti, in gran parte ordinati in un apposito spazio con le opere del Rinascimento e poi nuovamente raccolti nelle sale che ospitano i quadri del XVIII secolo.

Marmori, perché questi ritratti hanno un significato particolare per lei?

“Si tratta di tavole che documentano lo svolgimento di questo genere artistico che ebbe significativa diffusione negli ultimi decenni del Quattrocento e quindi nel corso di tutto il Cinquecento, fino ad approdare, passando per le indagini rappresentative della piena età barocca, alla ritrattistica umorale e psicologicamente descrittiva del XVIII secolo”.

Ma quali sono gli elementi distintivi della ritrattistica?

“All’inizio il ritratto dipinto è sempre legato alla funzione pubblica, come illustrazione del ruolo. In seguito, nel corso del Rinascimento, l’epoca che qui interessa, il ritratto raggiunge la sfera del privato, e dall’uomo traspaiono il cuore, gli affetti, i sentimenti”.

Quali opere del Lia meglio documentano questa evoluzione?

“Personalmente ho in mente il Ritratto di Procuratore, di Gentile Bellini, dipinto probabilmente sullo scorcio del XV secolo, cui aggiungerei il Ritratto d’uomo di Tiziano Vecellio, siamo intorno al 1510, per arrivare a Veronese, col suo Ritratto di giovane conversa“.

Proviamo a raccontare queste tre opere, allora...

“Il dipinto di Gentile Bellini è una piccola tavoletta che rappresenta, come ha rivelato Federico Zeri, un magistrato della Repubblica veneziana. La postura rigida dell’effigiato, ritratto di profilo, che si staglia nello sfondo nero, rivela la derivazione numismatica del ruolo. Non dimentichiamo che la moneta, strumento del più semplice dei poteri, è la matrice della ritrattistica ufficiale, laddove si tratti di fissare il tono aulico e rappresentativo della carica ricoperta. La ritrattistica veneziana ha quasi sempre una forte connotazione politica. Anche in quest’opera poco importa la veridicità della fisionomia dell’effigiato, cioè che conta è la carica che ricopre. Di fronte al dipinto, a nessuno viene in mente di chiedersi cosa pensi o quale emozione provi il magistrato ritratto”.

Nelle altre due opere invece?

“Diversissimo il ritratto di Giorgione: pochi colori, tutta luce. L’effetto ottenuto è che non ci è dato di sapere chi sia il personaggio rappresentato, quale ruolo ricopra. Il dipinto ribalta l’impostazione non solo grafica ma addirittura psicologica nel modo di presentare l’individuo. La novità sono i pensieri e le emozioni, non il ruolo ricoperto”.

E la “giovane conversa” del Veronese?

“Le misure ridotte del dipinto e il tono domestico fanno pensare a un’opera destinata all’intimità piuttosto che alla pubblicità. Lo sguardo sfuggente della ragazzina è quello di chi lascia il mondo, di chi compie qualcosa di non scelto ma di subito e accettato. Qui non ci sono fini celebrativi, tantomeno toni ufficiali. Il dipinto evoca piuttosto un’istantanea di gran lusso, realizzata quasi di sorpresa. Ecco la sua grandezza”.