Sabastiano riapre la casa famiglia della madre

"Devo aiutare i miei fratelli". La forza del figlio di Antonietta Romeo

Gli anziani rapinati a Bellaria (Foto Petrangeli)

Gli anziani rapinati a Bellaria (Foto Petrangeli)

Sarzana, 1 ottobre 2014 - LA CASA di via Turì 18 può tornare ad essere una “casa famiglia”, può ancora essere un “gesto d’onore” come pensava Antonietta quando l’aveva aperta due anni fa. Ma oltre all’”onore” di donare agli anziani l’amore che meritano, aspetta l’onore di restituire a quattro fratelli il diritto a trovare la forza per diventare grandi. Non per cancellare il dolore, quello no, lo porteranno sempre con loro, ma almeno da quel dolore ripartire cambiando il percorso di un destino che altri hanno avuto la prepotenza di indirizzare. Sebastiano Iemma, il figlio “grande” di Antonietta Romeo (se grandi si può essere oggi a 22 anni), vuole ripartire da lì, dalla casa-famiglia che la madre gli ha lasciato troppo presto in eredità. Tutto è successo quasi due mesi fa, la sera del 13 agosto, quando il padre Salvatore Iemma, alla vigilia dell’udienza per il divorzio, con una pistola calibro 38 ha mandato in frantumi il sogno di Antonietta di cominciare una nuova vita a quarant’anni.

Lo stesso proiettile ha ucciso il sogno di crescere con gli stessi problemi di tutti coltivato fino ad allora avevano coltivato Sebastiano e i suoi fratelli Salvatore, che ha 19 anni e un bimbo piccolo, Domenico e Vincenzo, 17 e 15 anni appena. Loro due, gli unici ancora minorenni, ora sono affidati ai nonni materni ma da quella tragica notte Sebastiano si è moralmente caricato sulle spalle la responsabilità di essere il loro punto di riferimento. Due case e un mutuo consistente da pagare ogni mese, la necessità di trovare un lavoro per onorare i debiti e garantire ai fratelli la possibilità di scegliere quale strada imboccare domani, sono ora il suo unico pensiero. Ricominciare a studiare, iscriversi a psicologia anche per imparare come aiutarli ad affrontare i “buchi neri” che la tragedia ha lasciato nell’anima, è il suo sogno. «Volevo farlo già prima che succedesse tutto, ora sono ancora più deciso» dice Sebastiano, tirando fuori a fatica le parole dal groviglio di dolore e rabbia nel quale si dibatte per liberarsene, ricacciando indietro lacrime che sembra abbiano bisogno di uscire. Parlare non era facile prima per lui, forse lo è ancora di più oggi che è costretto a fare i conti con il silenzio in cui è maturato l’omicidio che ha straziato la sua famiglia.

«Non posso permettermi di perdere le case — spiega — perché sono l’unica sicurezza possibile per me e i miei fratelli. I nonni mantengono i miei fratelli ma resta il mutuo da pagare e lavoro non ce n’è. Devo riuscire a tenere aperta la residenza per anziani di mia madre con mia cugina Luisa che ha fatto un corso per Operatrice Sanitaria, ora che il Comune ci ha rinnovato il permesso. Purtroppo gli ospiti di prima se ne sono andati, ma siamo pronti per accoglierne altri, con la stessa attenzione che aveva la mamma».

E, SE il suo sogno riuscirà a mettere radici, forse la società avrà dato una piccola prova di saper andare oltre la solidarietà a parole verso le donne uccise e offrire ai loro figli l’esempio di un’altra vita possibile. Un pezzo della storia troppo breve di Antonietta sta continuando nella villetta di via Turì 16 dentro la casa famiglia «Insieme» di nuovo pronta ad ospitare quattro nonni autosufficienti e assisterli 24 ore su 24. L’altro pezzo si sta scrivendo nelle aule dei Tribunali dove Salvatore Iemma, ora in carcere a Massa, entrerà come imputato di omicidio e dovrà raccontare come e perché quel 13 agosto ha sparato contro Antonietta, l’ha centrata al cuore rischiando di uccidere anche il figlio più piccolo che era accanto a lei. Il suo racconto e le prove raccolte serviranno per scrivere la parola «fine» su uno dei tanti fascicoli giudiziari. Non devono scrivere la stessa parola nelle vite dei suoi figli che già quel proiettile ha incrinato.