Mediterraneo, 25 anni fa l'Oscar. "Io, tenente Montini, vi racconto come nacque il film"

Claudio Bigagli, nato a Montale, pratese d'adozione, e la grande esperienza sul set con Salvatores

Claudio Bigagli

Claudio Bigagli

Prato, 31 marzo 2017 - Il 30 marzo del 1992, esattamente venticinque anni fa, Mediterraneo di Gabriele Salvatores vinceva l’Oscar come miglior film straniero. Nel cast l’attore nato a Montale ma pratese d’adozione, Claudio Bigagli.

Prima ancora di Benigni con "La vita è bella" e Pamela Villoresi con "La grande bellezza" un cineasta pratese respirava profumo di Oscar. Bigagli è attore, scrittore, regista con quarant’anni di carriera alle spalle che lo hanno portato a lavorare con lo stesso Benigni e Paolo Virzì, ma anche i grandi autori come Ettore Scola, Mario Monicelli, Nanni Moretti e i fratelli Taviani. Ma per tanti spettatori, l’attore toscano è e rimarrà sempre il tenente Montini di "Mediterraneo".

Com’è arrivato al ruolo?

"Mi è arrivata la proposta poco prima dell’inizio delle riprese. Fatto abbastanza insolito per un ruolo così importante. Leggo la sceneggiatura; è bellissima e bellissimo è il personaggio. Accetto al volo. Da una situazione personale piuttosto incasinata mi ritrovo catapultato in un'avventura che si sarebbe rivelata una delle più importanti della mia vita".

Con il regista Salvatores (nella foto in basso) come avete costruito il personaggio del tenente Montini?

"Parlandone insieme. Gabriele era molto collaborativo con gli attori. Questo modo di lavorare gli veniva dalle messe in scena al teatro dell’Elfo. Ognuno poteva dire la sua, ricevere e dare consigli. Fra di noi si è instaurato da subito un rapporto speciale, estremamente stimolante e creativo, basato sulla reciproca stima. Quando succede è un piacere. vengono fuori le cose migliori. Credo che in qualche modo si fosse identificato nel mio personaggio. Mi ha fatto mettere degli occhialetti come quelli che portava lui e, andando avanti nelle riprese, mi ha passato anche il suo anello e il suo berretto a maglia".

Lissone, Gabriele Salvatores col suo "Mediterraneo" a "Suoni Mobili"
Lissone, Gabriele Salvatores col suo "Mediterraneo" a "Suoni Mobili"

Che atmosfera regnava sul set, sull’isola greca di Kastellorizo?

"Quella che traspare dal film. La realtà era uguale alla finzione. Eravamo un’allegra brigata al seguito di Abatantuono, che ci ha accolto sul molo quando siamo arrivati con il traghetto da Rodi. Chi conosce Diego sa che mette l’amicizia fra le cose più importanti della sua vita. Diego ci ha dato il la. Sono nate amicizie e complicità indimenticabili. Unica pecca: il pensare che quello che ci stava accadendo fosse normale…Se avessi saputo quanto era eccezionale me lo sarei goduto di più".

Durante la lavorazione eravate consapevoli che quel film avrebbe fatto il giro del mondo e sarebbe entrato nel cuore degli spettatori?

"Assolutamente no. Anche se sentivamo di fare un buon lavoro, credo che nessuno di noi potesse immaginare quello che sarebbe accaduto. Tutt’ora continuo a stupirmene. La percezione di cosa sia stato e ancora sia Mediterraneo l’ho avuta quest’anno in tournée, con la gente che mi fermava per le strade di tutte le città d’Italia. Sono persone di ogni generazione, perché i padri hanno fatto vedere e rivedere il film ai figli e ai nipoti. E il film continua ad essere trasmesso più volte all’anno in televisione con degli share ancora incredibili. Si vede che abbiamo toccato qualcosa nell’immaginario della gente che ce l’ha resa amica e grata di quello che gli abbiamo dato".

Ha qualche aneddoto da raccontare, legato alla lavorazione del film?

"Appena arrivato ho salvato un bambino. L’ho visto cadere nel porticciolo e mi sono buttato. Nell’uscire dall’acqua mi sono stupito che i suoi genitori non mi sembrassero così grati. Che strana gente. ho pensato. Il perché l’ho capito poco dopo, quando ho visto il bambino che si rischiaffava in acqua e tornava su da una scaletta tutto contento, senza problemi, anche se non doveva avere più di tre anni. In più mi sono reso conto che mi ero maldestramente riempito una mano di spine di riccio. Abatantuono mi ha preso in giro per una settimana".

Che cosa ha particolarmente colpito il pubblico di quel film?

"Il senso dell’amicizia, l’aver reso ridicolo la guerra, l’idea che un mondo migliore è possibile anche se a volte devi andartelo a cercare da un’altra parte. E’ un peccato che il film abbia un finale così attuale".

Lei è nato a Montale ma in fondo è un pratese d’adozione….

"Mio padre era di Galciana e faceva il cenciaiolo a Prato. Mio fratello faceva il tessitore e lavorava nel Pantano. Tutti più o meno a Montale lavoravano nel tessile e avevano a che fare con Prato. Siamo un paese di frontiera: in provincia di Pistoia ma, appunto, pratesi d’adozione. O almeno lo eravamo prima della globalizzazione. Nell’»Età dell’oro» come racconta bene Edoardo Nesi. Inoltre, al Metastasio ho visto i primi spettacoli che mi hanno fatto venire la voglia di fare questo mestiere, primo fra tutti il Re Lehar di Strehler. E infine, devo confessare che sono golosi dei biscotti di Mattei".

 Ha lavorato anche con Roberto Benigni, regista debuttante, in "Tu mi turbi"…

"E’ stato uno dei miei primi ruoli importanti. Lo vinsi con un provino. Sul set Roberto mi ha fatto sentire alla pari, anche se lui era molto più avanti di me nel mestiere. Mi ricordo che abbiamo girato la scena svariate volte, come succede, ma sempre dall’inizio alla fine per non perdere di naturalezza, come se fosse un lavoro teatrale. Qualche gag è venuta fuori a soggetto ma poca roba. Tutto era scritto e accuratamente studiato. Ci siamo davvero divertiti. Qualche anno dopo Roberto mi raccontò che il nostro episodio era piaciuto molto a Fellini e naturalmente ne fui orgoglioso".