New York, il cinema e un premio Oscar da dirigere. Marco Calvani si racconta

Autore e regista teatrale, ora il giovane talento pratese debutta sul grande schermo. "L'attore? Ho smesso". E del fratello Luca dice...

Marco Calvani con Melissa Leo sul set di "The view from up here". Foto di Henny Garfunkel

Marco Calvani con Melissa Leo sul set di "The view from up here". Foto di Henny Garfunkel

New York, 28 ottobre 2017 - Anni sul set come attore, anni sui palcoscenici teatrali di mezzo mondo, in qualità di autore e regista, Marco Calvani, pratese, ha bruciato le tappe diventando una firma importante del teatro contemporaneo. E adesso un altro debutto eccellente. La prima volta per il grande schermo come sceneggiatore e regista con il cortometraggio The view from up here. Quindici minuti di cinema eccellente, grazie anche alle performance di due attrici strepitose; la francese Leila Bekhri e l’americana Melissa Leo, premio Oscar come migliore attrice non protagonista per The fighter nel 2011.

Calvani, tra pochi giorni lei presenterà il suo corto al Savannah Film Festival in Georgia.

«The view from up here», in realtà nasce come spettacolo teatrale. Fu diretto da Estelle Parsons che mi aveva commissionato i il testo, per l’Actors Studio di New York dove andò in scena nel 2016. Fu un bel successo inaspettato, a tal punto che due giovani produttori (Dean Ronalds e Emanuela Galliussi della Falling up Film) vennero a congratularsi con me dietro le quinte proponendomi di realizzare un cortometraggio. E io dissi di sì a patto di dirigerlo. Se mesi dopo ero su un set come regista. Come produttore esecutivo c’è anche il grande fotografo Bruce Weber che è un mio amico.

Nel cast due grandi attrici. E’ stato difficile convincerle?

Non è stato molto difficile in realtà. Conoscevo da tempo Melissa Leo anche se di sfuggita. Entrambi siamo membri dell’Actors Studio. Credo che abbia accettato prima di tutto perché il materiale aveva e ha tutt’ora un peso sociale e politico che in un momento come questo, in America, molti sentono di condividere, affrontare e sostenere. Per questo, il mio progetto ha riscontrato molto interesse da parte di tanti talenti fin dall’inizio. Melissa ha letto il copione, ci siamo incontrati. Ne abbiamo discusso per ore. Inizialmente lei non era molto convinta di essere l’attrice giusta. Molto spaventata all’idea di interpretare un ruolo così delicato, difficile e controverso. Alla fine mi ha detto di sì.

Un giovane autore come dirige due attrici di grande talento?

Grazie per il giovane, ma in questo caso è vero perché in fondo è la mia prima esperienza in cinema quindi avevo tutto da imparare. Il primo giorno sul set era come il primo giorno di scuola e allo stesso tempo il giorno degli esami. Le ho dirette con grande umiltà e con grande passione. C’è una grande forza nell’essere l’autore delle parole che vai a dirigere perché le conosci molto bene, a tal punto da farle masticare ad altri con molta tranquillità. La mia forza sul set nasceva anche dalla fiducia che sentivo da parte di Melissa e Leila. Tutti noi credevamo fortemente nella storia che stavamo raccontando.

Dopo molti testi per il teatro adesso cinema. Come mai?

Mah…è accaduto e ho abbracciato l’esperienza senza dire di no. In fondo sono sempre stato affascinato dal cinema. Parte della mia educazione artistca come autore nasce proprio dalla visione di molti film, fin da bambino. Ho imparato la scrittura e l’analisi dei personaggi guardando Truffaut, Jane Champion e Federico Fellini. Ho sempre fatto teatro ma immaginavo che prima o poi sarebbe arrivato il cinema. Adesso qualcosa ha fatto click nel mio cervello creativo. Sono adesso in pre-produzione con il nuovo film che dovremmo girare entro la fine dell’anno e già al lavoro su due altri progetti tra Francia e Stati Uniti. Ovviamente cinema e teatro hanno due linguaggi diversi ma per me adesso è come se facessero due tappe dello stesso viaggio.

Perché ha scelto di vivere a New York?

Perché avevo bisogno di nuovi stimoli che non riuscivo più a trovare in Italia, a Roma. Avevo perso anche la voglia di scrivere e di andare a teatro. Sono arrivato a New York perché stavo lavorando con Neil Labute, alla seconda edizione del nostro progetto, senza sapere per quanto, sfidando anche tanta solitudine e tanto scoraggiamento. Inizialmente non è stato facile. Poi però tutto quello che è successo dopo, mi ha confermato che forse era la scelta giusta.

E Prato vista «da lontano»?

E’ difficile rispondere a questa domanda. Prato è casa mia. Ovunque io sia, anche se c’è un oceano di mezzo. E’ la mia provenienza. Ed è lì che tornerò, se non in carne e ossa… in spirito.

I suoi testi sono rappresentati in tutto il mondo. Ci sarà la possibilità di rivederli in città?

Chissà. E’ successo anni fa ma quelle rappresentazioni erano frutto dei progetti che io ho voluto e che io ho seguito. Ultimamente non mi è capitato più di lavorare in Italia. Devo dire che non ci sto mettendo neanche molta volontà. Non accade perché forse non faccio niente perché possa accadere. Sto lavorando qui, sto scrivendo in inglese…spero comunque che possa capitare di nuovo.

Per i suoi testi spesso si è ispirato alla cronaca. C’è qualcosa che l’ha colpita recentemente?

Continuamente ci sono eventi che mi colpiscono e che vorrei portare sul palcoscenico. Ma a volte, certi fatti poi trovano la forza drammatica necessario sul placoscenico. Sono rimasto molto colpito dai fatti di Charlottesville lo scorso agosto. Quell’evento mi ha fatto capire che dovevo scrivere un testo sul razzismo in America, quello nascosto, latente, difficile da sconfiggere, quello che esiste anche quando credi di non esserne vittima o portatore. Questo sarà uno spettacolo che debutterà Off Broadway nell’autunno 2018.

Lei era nel cast de "Le fate ignoranti" di Ferzan Ozpetek. Che ricordi ha di quella esperienza ?

Ricordo un sacco di eccitazione, la mia prima esperienza. Ricordo una Roma caldissima e gigantesca venendo da Prato. Ricordo una atmosfera molto familiare sul set. Il cinema allora mi sembrava facilissimo e romanticissimo. Ricordo tanta vergogna, molto imbarazzo per le scene che dovevo girare, ma anche la grande spontaneità con la quale avevo deciso di affrontare quel ruolo e quelle scene. Mi ricordo tanta incoscienza e tanta speranza.

Ha davvero accantonato la carriera da attore?

Dovrei dire di no così magari qualcuno se mi vuole mi viene a cercare. In realtà la risposta è sì. Ogni tanto me ne pento perché ci sono state esperienze in cui davvero mi sono divertito come quando ho partecipato ai "Borgia", nel 2010, una super produzione americana diretta da Olivier Hirshbiegel. Per fare l’attore ci vogliono molta energia, molti soldi e molto tempo. Quando io ho queste tre cose preferisco dedicarmi ai miei progetti e alle mie storie. E poi c’è il gusto e il piacere di dirigere gli attori. Va da sé che se non avessi fatto l’attore forse non sarei stato in grado di fare l’autore e il regista. Quindi non rinnego assolutamente nulla.

La domanda che si fanno in molti: Marco e Luca Calvani, due fratelli, due carriere importanti. C’è un progetto che vi vedrà insieme prossimamente?

Boh….Al momento non stiamo lavorando a nessun progetto insieme io e Luca. Stiamo facendo due percorsi diversi. Quando Luca era in America io ero in Italia. Ora Luca è in Italia e io sono in America. Io raramente scrivo per altri. E’ accaduto per la mia adorata Monica Scattini. E sta accadendo adesso per un’altra grande attrice qui in America. Ma questi sono incontri fortunati. Io scrivo sempre le storie che mi premono, che nascono da una urgenza. Non scrivo mai niente che non mi stia a cuore, e che non mi metta in pericolo, come uomo e come artista. Non è ancora accaduto che nelle cose che ho scritto ci fosse un ruolo adatto a Luca. Quando dovesse accadere….magari sì e magari su un palcoscenico a Prato. Chissà!