Giovedì 25 Aprile 2024

"Rogo, questo è il sistema Prato". Chiesti 26 anni per i titolari cinesi

Lunga requisitoria del pm: «Gestori responsabili della morte degli operai» / ROGO NELLA FABBRICA DORMITORIO / L'INTERVENTO DEI VIGILI DEL FUOCO (VIDEO) / LE RICERCHE DELLE VITTIME (FOTO)

Il giorno della tragedia (Attalmi)

Il giorno della tragedia (Attalmi)

Prato, 25 novembre 2014 - UNA LUNGA e minuziosa requisitoria in cui il pm, Lorenzo Gestri, ha ricostruito punto per punto l’evento tragico e gli sviluppi delle indagini contenuti in più di dieci faldoni di indagini. Una relazione di oltre duecento pagine che descrive il comportamento dei tre titolari cinesi della Teresa Moda, imputati nel processo. Accuse durissime che si sono trasformate – dopo sette ore di intervento – in altrettante pesanti richieste di condanna: in tutto 26 anni di cui dieci e otto mesi per la titolare di fatto della ditta andata a fuoco il primo dicembre di un anno fa in via Toscana, Lin You Lan, e otto anni per la sorella, Lin You Li e il marito di lei Hu Xiaoping, ritenuti i gestori della Teresa Moda (tutti difesi dagli avvocati Gabriele Zanobini e Giancarlo Geri).

A un anno dalla tragedia il sostituto procuratore Gestri, di fronte al giudice Silvia Isidori, mette un punto fermo su quelle che sono le responsabilità della tragedia avvenuta nel capannone dove sono morti, per «intossicazione da cianuro», in seguito al furioso incendio scoppiato per un corto circuito elettrico, sette operai cinesi.

Le accuse contestate ai tre imputati sono omicidio colposo plurimo aggravato, incendio colposo aggravato, omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, sfruttamento della manodopera clandestina e le richieste avanzate dal pm tengono già conto dello sconto di un terzo della pena perché il processo si svolge con rito abbreviato.

«Nel rogo alla Teresa Moda – ha spiegato il pm – c’è il paradigma di un sistema, il ‘sistema Prato’, che si fonda su un reticolo malato, non certo generalizzato, di illegalità. Il pm non fa politica ma la vicenda dimostra come tante persone hanno consentito che succedesse quello che è accaduto. I tre imputati sono tutti responsabili perché anche la sorella di Lin You Lan, quella che prendeva accordi e gestiva la ditta, comandava all’interno del capannone. In una intercettazione telefonica, un operaio la chiama ‘capa’ e chiede i soldi per il lavoro svolto».

Dalla requisitoria emerge quello che è un «sistema» consolidato nel distretto parallelo pratese: l’apertura e chiusura delle ditte nel giro di pochi anni con il ricorso a prestanome, gli abusi edilizi, lo sfruttamento della manodopera clandestina. Tutte situazioni accertate e dimostrate per la Teresa Moda nelle carte della Procura e dalle indagini. Il coinvolgimento di commercialisti e consulenti del lavoro italiani.

«Questa è una situazione emblematicamente straordinaria di come funziona il sistema – aggiunge Gestri in aula – Finalmente facciamo un processo alle persone giuste perché c’è stato uno sforzo investigativo sovrumano, indagini enormi, per un ufficio che, per come è adesso, non è in grado di sopportare un tale carico di lavoro. Ci sono una miriade di processi a titolari prestanome che non vengono mai rintracciati, esattamente come avviene in questa vicenda. La Teresa Moda era intestata a un prestanome, come tutte le altre aziende, aperte e chiuse in dodici anni da Lin You Lan».

Durante l’intervento del sostituto procuratore, vengono ripercorsi tutti gli elementi emersi durante l’interrogatorio dei tre imputati. La mancanza di norme antinfortunistiche all’interno del capannone, «non ho trovato un documento in regola», ha chiosato Gestri. La fine fatta dagli operai. «Hanno cercato una via di fuga ma non ce l’hanno fatta – spiega – Si sono ammassati in fondo al corridoio vicino alla scala, hanno tentato la fuga ma il soppalco ha ceduto. Le vittime si sono radunate proprio nel punto dove è scoppiato l’incendio e non hanno avuto scampo. Sono stati trovati pezzi di cadavere mescolati tra loro. Si sono salvati i due titolari che dormivano nella parte in muratura e al piano terra, vicino al portone. Erano al comando dell’azienda e quindi stavano nella parte migliore. Se avessero dormito trenta metri più in là oggi non sarebbero qui come imputati ma sarebbero stati vittime».

Quello che conta, secondo il pm, è «il calcolo, il business, l’interesse di fare impresa. C’è la consapevolezza da parte dell’agente di omettere le cautele necessarie. L’obiettivo è il guadagno a ogni costo anche a rischio della morte. Siamo di fronte a una persona che sa benissimo come si fa impresa ma che omette le minime regole di sicurezza».

Sei i punti analizzati: l’omissione della via di esodo, il sistema di allarme, gli estintori, gli idranti, la segnalazione del percorso di fuga. «Non hanno agito con dolo diretto – spiega – anche se erano a conoscenza dei rischi, che non è stato governato». Il pm ha comunque riconosciuto ai tre imputati le attenuanti generiche per la «collaborazione mostrata durante il processo». La prossima settimana la parola passerà alle parti civili.

Laura Natoli