di Mauro Giovannelli

avvocato aministrativista

Prato, 21 novembre 2012 - Il Governo Monti, con D.L. 188/2012, a poco più di due mesi di distanza dalla legge di conversione della c.d. spending review (n. 135/2012), si è palesemente smentito, modificando in maniera radicale i criteri di riordino delle Province stabiliti con l'art. 1 della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012.

Il D.L. in questione, con una serie di disposizioni anche di richiamo ad altre leggi di difficile coordinamento, genera un ingorgo istituzionale, che - non è difficile prevedere - ne renderà quasi impossibile la sua attuazione.

Sul piano formale, poi, appare palese la illegittimità del decreto legge, che, nella fretta di dare attuazione ad una riduzione, più che delle Province, già peraltro radicalmente modificate dall'art. 23 del D.L. 201/2011 (Cresci Italia), intende ridurre drasticamente gli uffici periferici dell'Amministrazione Centrale e quindi i relativi servizi ai cittadini, come indiscutibilmente prevede l'art. 10 dello stesso decreto Spending Review.

Un regime di riforma che entra in vigore il 1 gennaio 2014, non giustifica le ragioni di straordinarietà e di necessità ed urgenza che richiede l'art. 77 della Costituzione per l'utilizzo del decreto legge.

Occorreva chiaramente il disegno di legge di iniziativa governativa, che avrebbe consentito più ponderazione e tempi più ragionevoli da parte del Parlamento per l'esame e l'approvazione.

Ma il rilievo più grave è costituito dalla violazione dell'art. 133 della Costituzione che, in esecuzione del principio generale di democrazia partecipativa nell'esercizio della legislazione di autonomia locale e di decentramento, richiede l'iniziativa dei Comuni e l'interpello della Regione ( con la necessità di una ragionevole motivazione in caso che il parere sia disatteso) per il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province.

Nel merito, poi, le Province erano già diventate con l'art. 23 del D.L. 201/2011 dei soggetti istituzionali morti, deputati ad esercitare esclusivamente funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni, a cui dovevano essere attribuite le attività di gestione già conferite dalla legge statale alle stesse.

Il D.L. 188/2012 rimette, quindi, contraddittoriamente in piedi l'ente intermedio con poche, ma significative funzioni (art.17: pianificazione territoriale di coordinamento, trasporti, strade provinciali, programmazione ed edilizia scolastica).

Quale coerenza di un disegno che va in una direzione e poi inverte marcia?

Ma il pasticcio più significativo il D.L. lo fa con la istituzione della città metropolitana e più in particolare con quella di Firenze (art. 18).

La confusione è totale, perchè si scambia un ruolo esclusivamente territoriale, come quello di area vasta (metropolitana) con l'altro politico-istituzionale di città metropolitana.

Il primo è un criterio di gestione dei servizi pubblici, che peraltro non sempre coincide con la dimensione di "ambito" ( come dimostrano ad esempio i servizi del gas e dei trasporti), che si può sempre organizzare come prevede l'ordinamento delle autonomie locali (D. Lgs. 267/2000); il secondo attiene all'esercizio di funzioni politiche e amministrative, che necessitano prima di tutto di un'identità storica e culturale.

Il cedimento delle categorie economiche sulla città metropolitana è segno di debolezza dell'identità produttiva e culturale della città, di crisi profonda dello spirito di iniziativa e di autonomia dell'impresa pratese, che nei tempi passati si identificava con la voglia di riuscire, di innovare, di produrre, di conquistare mercati, che ha fatto grandi i pratesi nei secoli.

Anzi quella classe dirigente organizzata nell'Arte della Lana e poi nell'Unione Industriale era il motore attivo di questo processo (basterebbe citare Enrico Pecci, Antonio Lucchesi e Alberto Parenti, ma anche tanti altri).

Non si può poi negare, sempre nel merito, che la città metropolitana di Firenze (così come la chiama la legge) rischia di avere una struttura di rappresentanza di secondo livello, con Sindaco quello di Firenze o altro eletto dal Consiglio Metropolitano, a sua volta eletto dagli organi dei Comuni ivi ricompresi (per l'elezione diretta da parte dei cittadini, occorrerebbe l'articolazione del Comune capoluogo, cioè di Firenze, in più Comuni), ma comunque funzioni davvero importanti, perchè, a quelle generali della Provincia, si aggiungono la pianificazione territoriale generale, le reti infrastrutturali, i sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, la mobilità e la viabilità, lo sviluppo economico e sociale.

Tutte funzioni queste che vanno ad indebolire fortemente quella del Comune di Prato (e degli altri Comuni naturalmente), togliendo, senza rispetto dell'iniziativa e della volontà popolare, spazi di autonomia e di libertà, conquistati in secoli di storia.

Infine preoccupazione ancora più grande desta l'avvenuta approvazione del criterio di decentramento degli uffici e dei servizi dello Stato, su base provinciale o della città metropolitana, con la possibilità di istituire soltanto "presidi", in "specifici ambiti territoriali per eccezionali esigenze connesse alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, nonchè alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali". (art. 10 D.L. 95/2012 Spending Review).

Allora si illudono quei politici, anche locali, che pensano che Prefettura, Questura, Motorizzazione Civile, Vigili del Fuoco, Carabinieri, Polizia rimangano nel nostro territorio in dimensioni adeguate ai bisogni dei cittadini, con le conseguenze che non è difficile immaginare anche in termini di spesa e di perdita di tempo.

Non è pensabile che Firenze (e giustamente) possa rinunciare a tutti i servizi e gli uffici dello Stato, in maniera piena, per cui, ad andar bene, a Prato rimarrebbe solo qualche insufficiente presidio.

Chi evoca ironicamente il "campanilismo" ed irride sulla gravità dei problemi che abbiamo di fronte, o addirittura, esprime opinioni ambigue e concetti di confronto e di dialettica democratica, impossibile perchè già negata in radice, fa un cattivo servizio alla nostra città e alla nostra storia.

Il D.L. va cambiato e questo, se Prato sarà unita, è sicuramente possibile.

* Avvocato amministrativista