Domenica 28 Aprile 2024

Don Marco e l'iniziativa: "Una Messa per chi è morto suicida"

Don Marco Natali: «Pensiamo a chi non ce l’ha fatta» L'INTERVISTA VIDEO A DON MARCO

FRONTIERA Don Marco Natali, parroco di San Bartolomeo, mai banale nelle  sue iniziative; domenica 25 dedicherà le sue omelie «a chi non ce l’ha fatta»

FRONTIERA Don Marco Natali, parroco di San Bartolomeo, mai banale nelle sue iniziative; domenica 25 dedicherà le sue omelie «a chi non ce l’ha fatta»

di LUCA BOLDRINI

Prato, 18 gennaio 2015 - C'è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui ai suicidi veniva negato il funerale religioso. Oggi, in genere, le cose sono cambiate ma la questione rimane fra i tabù più forti della nostra società. C’è chi toglie la testa dalla sabbia e ne vuole parlare apertamente; è il caso di don Marco Natali, parroco di San Bartolomeo, parrocchia “problematica“ del centro storico che convive con la mensa La Pira e un tessuto sociale mediamente povero che bussa alla porta del parroco. E Prato, come tante altre realtà italiane, ha vissuto drammi da crisi economica più alti che altrove. Ecco perché don Marco, abituato a essere classificato come prete di frontiera, coraggioso e mai banale nelle sue azioni e nelle sue omelie, ha deciso di dedicare la messa di domenica 25 gennaio proprio «a chi non ce l’ha fatta».

«L’idea – spiega il sacerdote – nasce dall’incontro con persone che hanno affrontato questo dramma in famiglia. Mentre quando si perde qualcuno per malattia, come è successo a me con un nipote sconfitto a 30 anni dalla leucemia, se ne parla quasi con orgoglio, perché ha combattuto, di un suicida si parla con pudore, difficoltà, senso di colpa. Credo che sia una sofferenza aggiunta».

Don Marco non solo parlerà del tema durante l’omelia delle messe delle 9,30 e delle 11, ma dopo, quando si osserva la pausa di silenzio prima di procedere con la funzione, farà ascoltare una canzone. Lo fa sempre, ma stavolta si tratta di un brano laico e scelto ad hoc: la «Preghiera in gennaio» di Fabrizio De André, che il cantautore genovese scrisse nel 1967, al ritorno dal funerale del collega e amico Luigi Tenco, a pochi giorni dal suo suicidio a Sanremo durante il Festival. Un testo di rara poesia scelto perché «più ascolti questa canzone – spiega don Marco – più credi di avere davanti un uomo che ha colto la voce dello Spirito, la sua è una preghiera che costringe a ripensare a chi non ce l’ha fatta. Non si tratta di dire ha fatto bene o ha fatto male: scappare dalla vita non è una vittoria, è una sconfitta, ma come direbbe il Papa: chi sono io per giudicare? Si tratta di ascoltare il messaggio di Francesco, che ci invita a portare avanti la nostra attività di testimoni di Cristo con misericordia. E le voci laiche aiutano».

La scelta è stata anticipata al vescovo Agostinelli, «col quale c’è pieno accordo anche perché abbiamo convenuto che questo dramma colpisce molte più persone di quante si pensi». Ma c’è anche consapevolezza riguardo alla delicatezza del tema, soprattutto in seno alla Chiesa cattolica, «che non è più – conclude il parroco di San Bartolomeo – quella Chiesa matrigna che fino a 40-50 anni fa negava il funerale religioso ai suicidi, ma c’è il dubbio che non sia ancora pienamente “madre”, mentre queste persone che hanno vissuto nella propria vita un dolore simile hanno bisogno di un abbraccio in più».