I distretti tessili restano paralleli: "Pochi pratesi hanno contatti coi cinesi"

La ripresa c’è: negli ultimi cinque anni la redditività è stata buona

Nella foto d’archivio un’operaia cinese al lavoro

Nella foto d’archivio un’operaia cinese al lavoro

Prato, 3 marzo 2015 - La grande crisi sembra ormai alle spalle e per il distretto tessile pratese è tempo di pensare con rinnovato ottimismo al futuro. Un futuro che però non prevede interazione con le aziende cinesi presenti sul territorio: la stragrande maggioranza dei produttori di filati e di tessuti dichiara di non avere nessun tipo di rapporto commerciale con le aziende orientali (rispettivamente l’84% e l’81% del totale) e più della metà degli imprenditori pratesi non vede nel celeste impero e nelle sue aziende sparse in città una opportunità di sviluppo e di profitto. Questo almeno quanto è emerso dalla quarta e penultima tappa della mappatura tessile promossa dalla Camera di commercio, con il contributo fornito dalla Regione per il “Progetto Prato”, e coordinata da Confartigianato con la collaborazione dell’Unione industriale pratese e di Cna. Una tappa che si è concentrata su lanifici e produttori di filati.

Finalmente i segnali e le risposte degli imprenditori sono improntati ad un cauto ottimismo. Certo, la situazione non è omogenea, ma il 67% dei produttori di filati e il 53% dei lanifici intravedono ancora possibilità di sviluppo futuro per il distretto.

In entrambi i settori il punto di forza è la qualità del prodotto e dei servizi offerti, visto che quasi la metà delle aziende più grandi lavora per grandi marchi di moda. Ad incontrare maggiori difficoltà, durante il periodo di crisi, sono stati i lanifici che per sopravvivere hanno puntato sulla ricerca di nuovi mercati e sulla riduzione dei costi. Anche i produttori di filati hanno cercato di contenere i costi, possibilmente senza ridurre le dimensioni aziendali, ma puntando piuttosto sulla ridefinizione dei prodotti offerti.

Sfatando alcuni luoghi comuni, la mappatura ha anche fatto emergere che per il 59% dei produttori di filati e per il 46% dei lanifici la redditività degli ultimi 5 anni è stata buona o molto buona. Addirittura il 45% degli imprenditori e degli artigiani di entrambe le categorie intravede possibilità di crescita aziendale. Sono più orientati all’estero i lanifici, che fatturano almeno 2/3 della loro produzione sui mercati stranieri. In generale hanno retto meglio alla crisi le aziende che hanno investito in innovazione e in macchinari, conservando ed intensificando il legame col distretto (dove rimane ancora il 90% delle lavorazioni) e con i contoterzisti.

«E’ in questa direzione che bisogna continuare ad andare – commentano Luca Giusti, presidente della Camera di commercio, e Andrea Cavicchi, presidente dell’Unione Industriale – Bisogna intensificare i rapporti fra produttori e contoterzisti. Non è solo una questione di tariffe, ma di investimenti e prospettive comuni ad ampio raggio. Dobbiamo cercare di conservare il patrimonio che abbiamo e disciplinare, magari contrattualizzandole, le relazioni fra i vari pezzi della filiera».

Qualche preoccupazione è emersa, però, sulla sostituzione in azienda di figure e professionalità qualificate (capireparto e capifilatori da una parte, disegnatori e tessitori dall’altra), sempre difficile da trovare sul mercato del lavoro, e anche sulla successione aziendale. La maggioranza delle imprese pratesi ha titolari over 55: in particolare il 44,5% delle filature e il 50,9% delle tessiture. Soltanto poche aziende, infine, si sono rivolte a manager esterni o consulenti per gestire la parte commerciale, finanziaria o produttiva. Resta ancora tutto in famiglia.